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In Zanzotto e le lingue altre, Semicerchio LXVIII, pp. 33-45.

 

Planet Beltà: la traduzione danzante o Della tesa impotenza di ogni «discorso su»

di Camilla Miglio

 

Maria Fehringer in memoriam

I.  Beltà, un pianeta a ostacoli

Planet Beltà[1] è il progetto di edizione delle opere di Andrea Zanzotto in tedesco (con molti altri idiomi in risonanza) inaugurato nel 2001 da La Beltà / Pracht[2] e seguito da altri nove. È un laboratorio di traduzione collettiva costituito dal poeta, scrittore e traduttore Peter Waterhouse, dalla traduttrice Maria Fehringer, dall’editore (qui anche traduttore Ludwig Paulmichl) e dalla comparatista e traduttrice Donatella Capaldi; la dimensione collaborativa si estende a livello editoriale tra due case editrici non a caso frontaliere: la altoatesino-austriaca Folio Verlag e la svizzero-tedesco-austriaca Engeler. La caratteristica dello stare tra, essere accanto, senza dimora unica e fissa, riconosciuta dai traduttori-editori come tratto linguistico, poetico e politico della scrittura zanzottiana, è realizzata dunque come forma di vita activa[3].

Beltà è un pianeta capace di accogliere gran parte dell’opera zanzottiana nella sua immanente mobilità, nel suo (imprevedibile) orbitare in uno spazio più ampio, «di pagina in pagina»[4], di libro in libro. Sin da La Beltà / Pracht, il salto e l’inciampo[5] tra/da una lingua e/a l’altra rendono visibili atti di scrittura e di parola portatori di una valenza etico-politica intrinseca alla lingua stessa. Ne emerge una particolare percezione dello spazio di scrittura e traduzione, così come una visione della storia inscritta in un testo-paesaggio-storia segnato da faglie ritmiche e temporali, storiche e politiche. La dimensione estetica e civile del «principio resistenza»[6] che regola questi testi è rilevabile in vettori multidirezionali di senso e suono e negli echi multilingue (molte lingue, compreso il silenzio, i versi e i rumori della ‘materia’ terrestre). Per i traduttori non si tratta di cogliere o riprodurre «cosa le parole significhino»[7], o il messaggio della poesia, ma di «produrre» [Herstellen] le condizioni in cui la lingua è capace di creare una relazione col mondo; interessa «come» [Wie] la lingua arrivi a esprimere, creare, dare-vita, generare. La parola ‘materia’ [Materie, Stoff] – non è quindi intesa come tema, contenuto o argomento, natura naturata, ma come modo di essere tra un non più e un non ancora, forma fugace della natura naturans (e qui si sente la suggestione di Ernst Bloch di cui si dirà più avanti)[8].

Della poesia zanzottiana, come cercherò di mostrare traducendo in italiano le multiple e collaborative traduzioni di Oltranza oltraggio e la postfazione programmatica a La Beltà/ Pracht, viene colta la vis che percorre e indirizza tutta la sua scrittura ‘esautorando’ le categorie dell’opposizione e del conflitto, facendo loro perdere «un po’ di autorità»[9] – senza risolverle, semplicemente trasformandole in una contraddizione permanente e produttiva, in cui l’incomprensione e la precarietà diventano un valore. Un valore contro la violenza (e le guerre), che argina la distruzione.

Sul lavoro dedicato a La Beltà, pubblicato nel 2001 e base delle traduzioni presentate qui di seguito (infra, par. 2 e 3), Waterhouse ha avuto modo di tornare vent’anni dopo nel corso di un atelier italo-tedesco dedicato alla traduzione di Dante. Partendo dai versi dell’ultimo canto del Paradiso (XXXIII, 55-57: «Da quinci innanzi il mio veder fu maggio / che ‘l parlar mostra, ch’ a tal vista cede, / e cede la memoria a tanto oltraggio»), Waterhouse osserva la rima «maggio» – «oltraggio» inserita in un discorso sulla facoltà di vedere più di quanto le parole riescano ad esprimere; ritorna poi, in un sentiero a ritroso segnato da suono e senso, ai «raggi» del primo canto dell’Inferno (I, 16-18: «guardai in alto e vidi le sue spalle / vestite già de’ raggi del pianeta /che mena dritto altrui per ogne calle»): osserva come quel «pianeta» non sia visibile, se non nella sua luce; se ne percepisce l’irradiamento ma non si vede in sé; la parola «raggi», dunque, non solo a livello fonico partecipa di oltraggio, ma segnala anche qualcosa che è ultra, oltre, più in là. I «raggi» del pianeta interdetto alla vista indicano una strada non «piana [eben]» né «dritta» verso l’oltre in cui si immagina il paradiso, il luogo in cui la vista supera le parole; «[...] ma il paradiso non è una meta che si trovi sempre dritto alla fine della strada. Piuttosto vi si inciampa, lungo la strada». E infatti, aggiunge Waterhouse, non si tratta di strada spianata, ma di ostacoli, impedimenti, deviazioni, interruzioni, incertezze, attese, spostamenti. «Il paradiso si trova seguendo la direzione indicata dall’ostacolo. O meglio – il paradiso è l’ostacolo – il luogo altrui che si apre all’improvviso nel momento del blocco per chi vuole andare oltre, annunciato, ma senza usare l’avverbio oltre. Oltraggio? Ostacolare: il contrario di oltre[10]

A questo punto, per rispondere al quesito posto dal testo dantesco, Waterhouse riprende ed estende la poetica della traduzione condivisa vent’anni prima col gruppo di Planet Beltà. E torna quindi su Oltranza oltraggio:

 

Questa poesia che sta all’inizio del volume sta all’inizio di una strada e tuttavia percorre la strada a ritroso? Nella poesia ci si muove in avanti o indietro? O ci si muove senza avanzare? Quindi verso nessun luogo, come se si fosse in isolamento?

La poesia sembra piena di movimenti, forse è solo movimento, e non molto di più. Ma la parola tedesca strada, Weg, forse non è adatta esprimere ciò che qui accade. La poesia non si muove su una strada. C’è qualcosa di intermittente che apostrofa un tu. Ma il tu è a sua volta intermittente e saltellante. [...] frinisce si interrompe, ostacola e si contraddice, dice puro e insieme anche pura. Una volta dice identifico e una volta disidentifico. [...] Le parole vagano e nello stesso tempo stanno ferme. [...] Il verso torna e si ripete, ma la ripetizione è anche stasi [...] e inciampo[11].

 

Waterhouse si chiede se anche le «buone traduzioni» non debbano essere vie multiple, segnate da inciampi, scritture divergenti, cancellature e cancelli tra pieno e vuoto, salti e ritorni, e «impedimenti, e non spiegazioni o comunicazioni [Hindernisse, und nicht Erklärungen oder Vermittlungen[12]. Movimenti con interruzioni, pause, ritorni, salti e deviazioni. Senza una meta definita. Di qui la domanda, tutt’altro che retorica: «la poesia Oltranza oltraggio è forse una danza? Chi vorrebbe danzare verso qualcosa? Non è proprio un effetto delle danze la loro capacità di non portarci in nessun luogo, quindi in Paradiso[13]?» […]. Chi si muove a tempo «verso una meta precisa» non danza, ma «marcia». La marcia segna un passo bellicoso. La danza segna forse un passo di resistenza alla guerra? Vale per la poesia come per la traduzione:

 

Cosa hanno tentato di fare i traduttori e le traduttrici de La Beltà? Sono andati saltando da questa pagina a questa pagina fino a questa pagina e poi a questa e a questa e a questa. Affinché il libro cominciasse a danzare? E diventasse sempre più un libro-di-qua?

 

OLTRANZA OLTRAGGIO

 (gira pagina su pagina su pagina)

L’oltraggio

 

St. Veit im Jauntal

Sentvid v Podjuni

Agosto 2021[14]

 

 In cosa consiste questo «danzare»?

 

 

II. Traduzione e «danza orale»[15]

 

 In cerca di una risposta propongo qui a mia volta un esperimento, trasponendo in italiano le traduzioni multiple del collettivo di Planet Beltà, ognuna parziale, nessuna esaustiva di Oltranza oltraggio. Lo scopo è spostare ulteriormente il testo, tornando all’italiano attraverso una deviazione, la traduzione tedesca della poesia; traduzione multipla, che fa emergere in molte forme la natura stessa della scrittura di Zanzotto. Essa più che corrispondere risponde al testo italiano, e lo «fa danzare». Non c’è un testo a fronte, ma sedici movimenti avanti e indietro, in basso in alto e di lato, inabissamenti sottotraccia (spazi bianchi, faglie visibili nel bianco, e strie che conducono altrove).

Volendo visualizzare il Gitter, grata reticolo e cancello («sbarramento e apertura insieme»[16]), spazio creato dalla disposizione delle poesie, possiamo riconoscere lo zigzagare dei passi di questa danza, che è dinamica, di-vagante e ritornante, paradossale nel senso di Zenone, potenzialmente infinita.

Lo schema che segue riproduce la disposizione delle diverse e spesso divergenti versioni di Oltranza oltraggio nell’impaginazione del I volume di Planet Beltà, cui ho affiancato in corsivo, quasi fossero un ‘pop up’ di libri tridimensionali, i titoli incipitali di ciascuna pagina da me tradotta. Anche le pagine bianche, ora a pagina pari, ora a pagina dispari, partecipano del movimento zigzag, ognuna un passo di danza, una interruzione o un salto.

Ogni lettura e traduzione successiva potrebbe aggiungerne altre: nuovi passi a lato della poesia di Zanzotto, lungo il silenzio bianco, lungo il tedesco (tradotto da me in italiano, aggiungendo così altri e altri passi) e l’inglese (lasciato senza traduzione, nel suo carattere di interferenza senza passi ulteriori nell’italiano).

 

 

OLTRANZA OLTRAGGIO

 

 

EMPOR EMPÖREN

INSU’ INSULTANZA

AUSSTRAHLEN AUSTRIA

ÜBERTREIBUNG ÜBERSETZUNG

TRADUZIONE ESAGERAZIONE

 

OLTRANZA OLTRAGGIO

OLTRANZA OLTRAGGIO

OUT OUTRAGE

 

 

 

STRAHL

STRIA

ÜBERTRAGUNG ÜBERTRAGEN

 

TRADUZIONE TRASPORRE

 

OLTRANZA OLTRAGGIO

 

 

II.1 Da Planet Beltà, I: Oltranza oltraggio

 

 

OLTRANZA OLTRAGGIO

 

Salti saltabecchi friggendo puro-pura

nel vuoto spinto    outré

ti fai più in là

intangibile – tutto sommato –

tutto sommato

tutto

sei più in là

ti vedo nel fondo della mia serachiusascura

ti identifico tra i non i sic i sigh

ti disidentifico

solo no solo sì solo

piena di punte immite frigida

ti fai più in là

e sprofondi e strafai in te sempre più in te

fotti il campo

decedi verso

nel tuo sprofondi

brilli feroce inconsutile nonnulla

l’esplodente l’eclatante e non si sente

nulla non si sente

no               sei saltata più in     

 

L’oltraggio

 

EMPOR EMPÖREN

 

Aufragend aufgetürmt aufflammender Erd-Herd

im Weltzimmer      aufwärts         up

du brennst

unberührbar – kulminiert –

kulminiert

kulm

du bist entbrannt

in meinem Abendkapselschwarz bist du zu sehen

erscheinst da zwischen unsichtbar und sodala und sigh entscheinst

ein Un ein Nu ein Nur

ein Haufen Dächer borstig frierend

du brennst

gehst über übergehst in dich nur mehr in dich

verduftest

gehst stiften

gehst über in dein Dein

funkelst als ein Nichts-Stoff

das Detonieren Zerplatzen und man hört

gar keinen Ton nicht einen

Ton        bist schon

du Turmreiche       getürmt

 

Empörung

INSU’ INSULTANZA

 

T’innalzi impilato t’infiammi foculare-terrestre

nella stanza del mondo           insù          up

bruci

intoccabile – culmina –

culmina

culm

sei bruciato

ti si può vedere nella mia capsulaneradellasera

 appari là tra invisibile e sodala e sigh

disappari

un non un nonnulla un unico

un cumulo di tetti che ghiacciano ispidi

bruci

traversi trapassi in te sempre più in te

effondi

e fondi

traversi verso il tuo Tuo

brilli come una materia del nulla

il detonare l’esplodere e non si sente

nemmeno un suono nemmeno un

suono                          sei già

tu turrita         impilata

 

insultanza

 

AUSTRAHLEN AUSTRIA

 

 Resultate Saltos Zappeln nichts wie Licht

im Offenen                verschlossen           im Off

springst weg

unsteinern – lauter Dolomit –

lauter Dolomit

Dynamit

spritzt weg

ich sehe dich hier unten in meiner Kugeldunkelnacht

ich weiß dich zwischen Nicht und Sie und Zik

ich weiß dich nicht

nur Kein nur Ein nur

voller Zapfen Grelle Kälte

springst weg

gehst auf und überspringst dich immer mehr in dich

du outest dich

hinüber strebend sterbend

auf gehst du dir

glitzernd erregt unendlich winzig

das Zerspringen das Exploding man hört aber

nichts man hört nicht

nein            bist ex

 herrlicher Heuschreck                               saltiert

 

 Austria

AUSTRIA STRIATA

 

Risultati salti sgambettii nient’altro che luce

nell’aperto                   chiusa     nell’off

salti via

impietrificata – tutta dolomite –

tutta dolomite

dinamite

spruzza via

ti vedo qui sotto nella mia notte scurosferica

ti so tra un no e la lei e il zig

non ti so

solo nessuno solo uno solo

pieno di pigne luce accecamento freddo

salti via

ti apri e salti oltre te stessa sempre più in te

fai outing

oltre passando tendendo trapassando

ti apri a te stessa

eccitata brillando infinitamente minuscola

l’eclatante l’exploding non si sente tuttavia

niente non sente

no             tu sei ex-

grandiosa cavalletta                                   saltata

 

Austria

 

ÜBERTREIBUNG ÜBERSETZUNG

 

Lupfst hupfst hop hohe-hohle

ins nichts                   hui ver

hinüber unsetzbar – alles eingeschlossen –

alles eingeschlossen

alles

bist drüben

ich sehe dich am Grunde meiner Rundumdunkelstunde

bist enthalten in den Un den Sic den Sigh

enthältst dich

ein Nein ein So ein Solch

Zickzack unzahm trotzig

willst hinüber

und untergehen und übergehen in dich und mehr und mehr in dich

füterst das Feld

und stirbst hinaus

und gehst in Deins unter

birst bis du nix bist

das Sprengende das Schmetternde und nichts

zu hören man hört nichts

nein         bist hinüber

im Weitsprung       gehupft

 

Die Übersetzung

TRADUZIONE ESAGERAZIONE

 

Sollevi saltabecchi hoppete hoplà

nel nulla   ahi tra

più in là

inapponibile – tutta racchiusa –

tutta racchiusa

tutta

sei di là ti vedo al fondo della mia orascuratutt’attorno

stai tutta nel non nel lei nel sigh

ti contieni

un no un così un tal

zigzag indomito imbronciato

vuoi andare oltre

e affondare e trapassare in te e ancora e ancora più in te

fotti il campo

e muori fuori campo

e sprofondi nel tuo

scoppi fino a essere nient

e esplodente eclatante e niente

da sentire niente si sente

no              più in là

 in lunga gittata       saltabeccata

 

La traduzione

 

OLTRANZA OLTRAGGIO

 EMPOR EMPÖREN

 AUSSTRAHLEN AUSTRIA

 ÜBERTREIBUNG ÜBERSETZUNG

OUT UTTER

AUS ÄUSSERN

ENTSETZEN ENTSETZEN

 OUT OUTRAGE

 STRAHL

 ÜBERTRAGUNG ÜBERTRAGEN

 PUSH SHUB

 WEIT WHITE

 SEI SEI

UN UN

OLTRAGGIO

OLTRANZA OLTRAGGIO

 INSU’ INSULTARE

AUSTRIA STRIATA

TRADUZIONE ESAGERAZIONE

OUT UTTER

EXP ESPRIMERE

ORRORE ORRORE

OUT OUTRAGE

 STRIA

TRADUZIONE TRADURRE

 SPINTA PUSH

 WHITE ULTRA

 SII SII

UN UN

OLTRAGGIO

 

OUT OUTRAGE

 

 

                                             pure-your

 to            spin into  out

 pure you in

Intangible – to to-

tot o

to

pure you in

found

identify in non in sic in sigh

disidentify

no only

pure points

pure you in

profound

 

out

t(u)o profound

brilliant ferocious inconsutile

exploding

nil

no              pure you in

 

Outrage

 

 

STRAHL

 

ti vedo nel fondo

ich sehe dich drunten

 

sprofondi

nach unten

 

nach unten

sprofondi

 

zu Tal

STRIA

 

ich sehe dich drunten

ti vedo nel fondo

 

nach unten

sprofondi

 

nach unten

sprofondi

 

verso valle

 

ÜBERTRAGUNG ÜBERTRAGEN

 

du gehst gehst über ent-gegen über-sein

ins andere under     over

setzt über

regst dich – alles in allem –

allem in alles

alles

übersetzt

ich sehe dich im innern meines meinmeinmein

erscheinst inzwischen neinen sos und sein

scheinst

bist ja bist nein bist

ganz aus pfeilchen unmäßig frostig

setzt über

und gehst unter und gegensetzt dich immer mehr in dich kratzt ab

zappst wärst

und untersetzt in deines

glitzerst wucherst überall nichts

das brechende das prächtige und man hörst nicht

nichts man hört nicht

n                  bist übrig

überfließt           ichts

 

das übertragen

TRADUZIONE TRADURRE

 

tu vai oltre in-contro uni-sono

nell’altro under       over

tra ghettato

ti attivi – tutto sommato –

in tutto verso tutto

tutto

tradotto

ti vedo nell’intimo del miomiomio

appari intanto negare sos e sia pure

sembri

sei sì sei no sei

tutto puntine smodatamente ghiacciate

tra ghettato

e vai a fondo e contro di te e ancora più in te

raschi

sgambetti fai zapping in guardia

e inferisci nel tuo

brilli proliferi ovunque nulla

la sprezzatura la beltà e non si sente

niente si sente non

n                 hai residuo

trascorre                   ulla

 

il tradurre

 

 

OLTRANZA OLTRAGGIO

 

Salti saltabecchi friggendo puro-pura

nel vuoto.   spinto   outré

ti fai più in là

intangibile – tutto sommato –

tutto sommato

tutto

sei più in là

ti vedo nel fondo della mia serachiusascura

ti identifico tra i non i sic i sigh

ti disidentifico

solo no solo sì solo

piena di punte immite frigida

ti fai più in là

e sprofondi e strafai in te sempre più in te

fotti il campo

decedi verso

nel tuo sprofondi

brilli feroce inconsutile nonnulla

l’esplodente l’eclatante e non si sente

nulla non si sente

no              sei saltata più in là

 

L’oltraggio

 

 

III. Una postfazione programmatica

 

 Ho voluto tradurre anche la postfazione dei traduttori, che ne chiarisce termini e metodo. Si intitola Della tesa impotenza di ogni «discorso su» [das strikte unvermögen jeglichen «sprechens-über»], e riprende letteralmente una nota al testo di Retorica su: lo sbandamento. il principio «resistenza»[17]. Inadeguatezza, incompiutezza sono intese come valore, in quanto proprie dell’esperienza del vissuto, nella storia, di cui la poesia è parte. Impotenza e impossibilità di produrre un «discorso su»[18]: non si tratta di descrivere né possedere e misurare ogni nesso logico, di perseguire finalità, orizzonti di attesa e di scopo prescritti. Si tratta invece di generare e in questo senso scrivere, tradurre, vivere.

Attraversiamo quindi la zona genetica di proliferazione creata dal parlare-scrivere-tradurre-con, parlare-scrivere-tradurre-a,    parlare-scrivere-tradurre-attraverso. Parlare-scrivere-tradurre di lato, più in là. Il principio di contraddizione muta: non è uno stare contro, ma uno stare accanto. Poesia e traduzione sono entrambe diffrazione[19] impermanente, che vive e si moltiplica in una zona della non-separazione, vivendo fino in fondo il paradosso del cancello (cancello, reticolo, grata linguistica, Sprachgitter[20]), tra «sì e no», assenza e presenza, spazio bianco, spazio ‘scancellato’, faglia e sospensione – scrive Waterhouse ‘parlando-con’ Zanzotto e Celan[21]. Tenendo a mente che questo movimento è anche un gesto di continua «esautorazione» (tradotto in tedesco: Entmachtung) delle opposizioni nette e di qualunque volontà di potenza. Anticipo qui l’ultimo paragrafo della postfazione, che parte da una nota zanzottiana:

 

«[Allora era di scena il Vietnam, oggi altro. Il tempo non passa mai]»[22], la poesia fa detonare qualcos’al tro, ovvero il suono – contro i suoni ad alto volume va lasciato risuonare un suono, il suono esplosivo della parola Pracht, Beltà, che non s’infiamma come la bomba nel momento in cui cadendo si apre, ma attraverso l’accensione iniziale si disperde. Questo suono esplosivo ‘P’ di Pracht, nell’italiano reso con la ‘à’ accentata di beltà, contiene l’altra forza, quella della rinuncia al potere. Lingua della esautorazione del depotenziamento; lingua dell’intimità[23].

 

III.1 Della tesa impotenza di ogni «discorso su»[24]

 «Non si sa mai in che campo semantico ci si trovi: il lettore è messo in uno stato di estraniamento dalle abitudini che non ha precedenti».[25]

L’esperienza del non sapere espressa in queste parole di Pier Paolo Pasolini in un saggio del 1971 su Andrea Zanzotto può essere vissuta da chiunque legga La Beltà. La poesia si rivolge a un tu – chi o cosa sia, in quale campo semantico si situi non è mai dato saperlo. Il tu, il tema, il significato restano «ultra», «fuori», «extra», «esagerati», «out» etc. Emerge in modo ancora più netto ciò che la lingua fa: non quali informazioni che fornisca, ma come essa informi, come essa non presupponga i significati ma li produca. Come essa non sia significativa ma creatrice. È l’esautorazione [Entmachtung][26] di un significato determinato a conferirle a una nuova facoltà creatrice. Ad esempio, circa il verso «fotti il campo», più feconda della domanda su cosa le parole significhino è: cosa sta accadendo, linguisticamente? Andrea Zanzotto ha inventato una voce fuori campo che parla attraverso le note al testo di queste poesie. Esse consentono di osservarle e modificarle in modo del tutto particolare. Nella nota al verso sopracitato l’autore dichiara un caso di «non-traduzione»[27], ovvero l’uso di una forma paradossale di traduzione. Il paradosso è uno dei mezzi attraverso cui le poesie disattivano significato, lingua e potere, fino a raggiungere un altro stato in cui sia possibile riguadagnarlo altrimenti, il significato. “«Fotti il campo» – riferisce la nota – è dunque traduzione-non-traduzione di una espressione simile (?) in francese. Qui l’espressione francese «foutre le camp», quasi lettera per lettera, parola per parola, è tradotta nell’italiano “fotti il campo”. Eppure, proprio nella versione ipercorretta e ultrafedele, procedimento 1 a 1, il significato dell’originale va perduto. Il francese «foutre le camp» significa qualcosa come «squagliarsela»[28], battersela, dileguarsi. Nella traduzione letterale si squaglia il significato dello «squagliarsela». Ma cosa è significato? Cosa vuol dire che: «foutre le camp» significa «squagliarsela»? Il significato si crea in questo caso attraverso la traduzione: l’espressione non vuol dire letteralmente sbattersi, fottere il campo ma (e non ci saremmo mai arrivati) battersela, dileguarsi. La traduzione di Zanzotto guadagna la traduzione quasi letterale, come dice lui, «mezzo senso e mezzo nonsenso»[29]. E così si può descrivere la posizione centrale o intermedia de La Beltà, nella quale in parte si può parlare metà di qualcosa e metà di niente.

 Il significare a metà non è descritto come perdita ma come guadagno; il mezzo senso accoglie il mezzo nonsenso come un di più. Il mezzo significato si accresce nel nonsignificato. In effetti nelle traduzioni letterali-troppo-letterali entra in gioco un contro-senso: il significato del dileguarsi viene trasformato nel significato del fecondare; letteralmente: tu fotti il campo, tu fecondi il campo. Qui si acquisiscono significato e fecondità, ma in modo precario, il prezzo è la perdita di significato, e insieme il dileguarsi. Non si può fare distinzione tra guadagno e perdita. Come accade spesso in queste poesie, forse paradossalmente, i contrari non sono separati. «Non dimenticare il campo, l’intrinsechezza / che corre tra disperato e disparato»[30]. Nella poesia Alla stagione[31] si intraprende il tentativo, nel processo dell’infinito ritorno annuale, di riconoscere un tempo altro, una forma temporale quasi opposta. È di nuovo la voce di commento a interferire, in cerca di un senso nuovo (e di senso in assoluto) e a proposito del titolo la nota recita: «inoltre stagione (vedi l’etimo statio) come ipotesi di un non scorrimento, in contatto con la sua contraddizione»[32]. È come se queste poesie potessero venire per la prima volta alla luce attraverso il contatto con le proprie contraddizioni.

Ancora contraddizioni nella prima poesia de La Beltà, che già nel titolo annuncia qualcosa di contrario-noncontrario: Oltranza oltraggio[33], entrambe parole che derivano dal latino ultra e semanticamente si sono sviluppate in sensi molto divergenti [weit auseinander], qui di nuovo strette insieme. Qual è dunque il significato di entrambe le parole insieme? Il significato è distinto? È lo stesso? Nel corso della poesia appare qualcosa che assume a prima vista l’aspetto di una equazione o uguaglianza; si tratta dei versi: «– tutto sommato – / tutto sommato / tutto». Il titolo della poesia lambisce ancora uguaglianza e differenza. In queste tre righe, tuttavia, sembra esserci solo uguaglianza. «– tutto sommato – » e «tutto sommato», cioè, trattini a parte: uguaglianza o identità. Eppure potrebbe trattarsi an che in questo caso di una traduzione, una traduzione iperletterale da «tutto sommato» a «tutto sommato», da «alles in allem» a «alles in allem»: sicché emerge ad evidenza la infondatezza linguistica dell’affermazione, si riesce ad auscultare in “tutto sommato” la frase fatta, il carattere secondario [Übertragenheit] di questo «tutto sommato» che in fondo (?) vuol dire «tutto sommato», in cui non si intende affatto il tutto, ma meno di tutto, solo qualcosa, forse solo un pochino, forse addirittura quasi niente: che «tutto sommato» è il contrario di «tutto». Così parla la lingua de La Beltà: si sentono i contrari nella loro contiguità paradossale. Una forma di ricerca della verità. Verità come paradosso, errore, devianza, variante, minuzia. Verità fuori da.

Come funziona l’equazione uguaglianza-disuguaglianza in «OLTRAGGIO/ oltraggio», le parole nel titolo e nell’ultimo verso della poesia? Si tratta della stessa cosa? L’ultima parola è altra rispetto a quella nel titolo? In una nota successiva (a Profezie o memorie o giornali murali)[34] si legge a proposito delle parole oltraggio e oltranza: «anche qui soprattutto sentiti etimologicamente»[35]. Se si considera oltraggio in senso etimologico si percepisce la voce latina ultra, l’ultragium, ciò che si trova al di là, che è a partire da, l’irraggiungibile, ciò che si sottrae, anche indicibile. Traduzione in grande stile: l’ultraterreno. Sublime anche per sua posizione incipitale, nel titolo della poesia. In posizione di chiusura, in fondo alla poesia si ripete la stessa parola, ma con l’articolo determinativo e in minuscolo: l’oltraggio. L’ultraterreno appare diminuito, rimpicciolito, esautorato, portato al livello della propria esistenza terrena, di nuovo referenziale, divenuto raggiungibile. Lingua e referente sono di nuovo portate in una prudente vicinanza, ma fuori dal vincolo del sapere e della certezza. Nella poesia c’è un movimento da ultra a qua; ma in modo tale che ultra e qua mantengano uno stato di contrapposizione e insieme uguaglianza. OLTRAGGIO: oltraggio.

Le poesie ne La Beltà ci mettono in questa posizione: la posizione dell’Avere senza avere. De-costruzione, negli anni Sessanta, nel mezzo della più fiorente Ri-costruzione (nel frattempo sostituita dalla parola Mega).

 Le poesie conducono anche nel Vedere senza vedere. Ancora, è la prima poesia a introdurre questo Vedere: «ti vedo nel fondo della mia serachiusascura»[36]. In questo verso si parla di un Tu (l’irraggiungibile, ultraterreno) visibile nell’oscurità della sera. Più avanti nel libro un altro, simile momento paradossale: «Imprevisto ritorno al tu / durante un’eclisse solare»[37]. E si potrebbe quasi tradurre: invisibile ritorno al Tu. In un Vedere senza vedere, in un vedere nell’oscurità, in un vedere senza sole accade il riconoscimento, e la lingua.

Un momento analogo: «il cancello etimo, cancellare sbarrare»[38]. E la nota di Zanzotto: «Riferimento alla parola ‘cancello’ come sbarramento e apertura insieme»[39]. Qui si guadagna la lingua letterale, in cui è di nuovo possibile riconoscere senza sacrificare il non conoscere e il non sapere. Si arriva a una lingua in cui non si divide il sì dal no (secondo l’esortazione di Paul Celan).

La poesia Oltranza oltraggio tratta verso per verso del dileguarsi; ma l’ultima parola della poesia è un ritorno, alla fine della poesia ecco tornare la parola iniziale, la parola del titolo – L’oltraggio – paradossale ritorno dal dileguarsi: una forma di ritorno caratteristica per il libro intero.

 Un altro momento dell’avere e insieme del non-avere (niente): in una delle poesie, in francese, vengono citati due economisti i cui nomi sono diventati famosi e quasi proverbiali, o verbali (da dizionario, cfr. lo Oxford English Dictionary): «la loi de Gresham, l’identité de Say, / théorème d’égalisation des utiltités marginales ponderées»[40]. Ma proprio i concetti, nonostante qualcuno abbia l’aspetto di una qualche allusione, non significano niente in questo contesto, legge non vale come legge, identità non vale come identità, teorema non come teorema, quanto piuttosto? La – giocosa (?) – nota di Zanzotto: «frase riportata da un artico lo riguardante teorie economiche; qui vale solo come suono»[41].

«Salti, vuoti o interruzioni, che talvolta assolvono a una funzione positiva»[42].

«Vacuoli», «vacuolare libertà»[43].

«Che sarà della neve/ che sarà di noi? / una curva sul ghiaccio / e poi e poi .. ma i pini, i pini / tutti uscenti alla neve, e fin l’ultima età/ circondata da pini?»[44]

«storia: cioè anche nel senso di ‘vicenda insignificante, balorda’»[45]. Storia, la parola che viene da una radice, che annuncia un vedere e un sapere, storia, la narrazione sistematica delle cose notevoli dell’umanità, acquisisce qui anche il senso di evento non importante, non senso. La Beltà è anche un attacco contro il potere, un libro del rovesciamento, delle esautorazioni (quest’ultimo titolo di una poesia). In effetti molte poesie schierano armi, armi disarmanti, armi trasformate. Alla fine della sequenza del ritrovamento del Tu in Profezie o memorie o giornali murali[46], ci si ritrova nel mezzo di un volare di aerei da guerra, «Mirage» e «Phantom», ma anche di aerei fantastici e irreali, «Vie» e «Vite» alla riconquista del nonsenso, dell’impotere, dell’irrealtà (del senso dell’irrealtà a partire dal senso di realtà e possibilità di Musil), là volano la vita, la velocità, d'improvviso, a scatti, miopemente visibile. Le immagini meravigliose e fantasmatiche – Mirage e Phantom –, che conquistano i cieli in forma di realtà bellica, vengono trasformati dalla poesia in vera irrealtà, in qualcosa di inafferrabilmente vivo. Lotta dell’irrealtà contro i reali fantasmi e miraggi. Lotta d’aeree immagini contro immagini d’aerei.

 Da un lato quindi esautorazione, dall’altro anche potenziamento di altre potenze, piccole forze e parti del discorso, particelle e minuzie. Le poesie onorano le parti del discorso più accessorie conferendo loro uno stato di diritto (anche quelle non formate, allo stato di materia grezza verbale): le pause bianche nei versi possono assumere il rango di sostantivi, desinenze come «-ini» oppure «-issimo» possono diventare sostantivi, il «  » diventa qualcosa di tangibile «slurp slurp»[47] non è solo un rumore della bocca dei fumetti, ma un sostantivo. La parola ‘no’ è seguita da una pausa bianca, in modo che in questa pausa si veda il nulla, lo si senta (in un nonnulla). Qui si vedono e si sentono sostantivi nuovi nuovi: «pittura –ura»[48], i e i No, i sigh, i su, la tua nuda  , i tuoi giovani                -ensieri, da Hölderlin vengono i – , e nel           , i diminutivi (chen: una parola che in Lutero e nel Dizionario Grimm rubricata come Klipplein [scoglietto]). Le piccole forze della lingua vengono rinforzate. La parola klein [piccolo] si rintana nel significato /ingl. clean), gioielli che brillano (piccolo vino, klein Wein). Nella storia della parola il collegamento tra Pracht [beltà] / Glanz [brillare] e Kleinigkeit [piccolezza, minuzia] è riconoscibile quasi come rapporto bellezza - piccolezza.

Nella poesia Retorica su: lo sbandamento, il principio “resistenza”[49], il «fenomeno degli sbandati», quei soldati che «rimasti al margine dell’azione»[50], dei dispersi, vaganti senza meta, è un ulteriore esempio per quel senso altro, per la traduzione del senso, per il senso inafferrabile, l’oscillare, ciò che è liberamente accolto, sotto-un-certo-aspetto, il dileguarsi della rappresentazione etc.: la mancanza di scopo di questi soldati sbandati, che hanno perso il vero e proprio corpo militare, e soprattutto lo stato maggiore, diventa mancanza di scopo della poesia, che tenta di parlare senza scopo, senza oggetto-opposto, senza separazione.

Abbiamo a che fare con ingressi in una lingua-prima della separazione, in una lingua prima della lingua: nella (imperduta) prelingua, nella quale la parola è immediata, non parla di quell’ultra, ma è qua, producendo intimità. Nella prelingua, similmente a quanto accade nella Ammensprache, linguaggio infantile, c’è un contenuto immediato a spese della incertezza dell’interpretazione. La prelingua è forse una lingua senza interpretazione (ma non senza significato).

In effetti il significato si irradia e stria le poesie, i nessi nascono dalla disconnessione. In Oltranza oltraggio, la prima poesia del libro, dall’irraggiungibile, dall’ultra, appare qualcosa di visibile, se non afferrabile. Da pre- e sub-significati, dallo sguardo letterale sui versi, appare qualcosa di grande, a grandezza di montagna e qualcosa di piccolo, forse una cavalletta (quella che penetra il suolo col suo acuminato organo riproduttivo, «fotti il campo»?). Questa grandezza smisurata e la minuscola cavalletta diventano riconoscibili nel loro essere estremi di un moto pendolare, in una oscillazione grande-piccolo.

Resta incerto se nella poesia Profezie o memorie o giornali murali i giornali murali siano effettivamente giornali murali, ovvero giornali o volantini attaccati ai muri. Forse sono giornali prataioli, il loro carattere rivoluzionario risiede proprio in quella sottomissione rivoltosa tipica dell’erba e dei prati rispetto al piano del terreno. La bellezza e beltà di questo libro si staglia sul piano del terreno; è poesia dell’erba.

Verso al fine de L’elegia in petèl[51] arriva una cascata di «ma», che segnala opposizione e gerarchia. In questa cascata la parola viene forse liberata dalla sua carica avversativa: «ma-ma-ma-ma»: casualmente si riesce a intrasentire la parola Mamma, di fatto proprio nei versi che si esprimono nella Ammensprache.

E come si traduce, come oscilla la parola del titolo beltà? Come può tradursi in una nonforma? C’è la bellezza bella, la grande e fastosa, la bellezza. La bellezza che è «inizio del Terribile»[52], quella che ambisce alla realtà, e infine la bellicosa bellezza del Napalm. La forza esplosiva e l’effetto bomba della bellezza bella si trova nella poesia ampolla (cisti) e fuori, contrapposta alla forza esplosiva della rinuncia al potere. Mentre la bellezza bella esplode e detona come una enorme noce di cocco cade da un albero di Napalm e cadendo s’infiamma – «[Allora era di scena il Vietnam, oggi altro. Il tempo non passa mai]»[53], la poesia fa detonare qualcos’altro, ovvero il suono – contro i suoni ad alto volume va lasciato risuonare un suono, il suono esplosivo della parola Pracht, Beltà, che non s’infiamma come la bomba nel momento in cui cadendo si apre, ma attraverso l’accensione iniziale si disperde. Questo suono esplosivo ‘P’ di Pracht, nell’italiano reso con la ‘à’ accentata di beltà, contiene l’altra forza, quella della rinuncia al potere. Lingua della esautorazione del depotenziamento; lingua dell’intimità.

 

DCMFLPPW, St. Veit im Jauntal, luglio 2001

 

IV. Il principio resistenza

 

A proposito degli «sbandati» del dopo 8 settembre 1944, «passati alla resistenza quasi inconsciamente», Zanzotto annota in versi una caratteristica del loro andare a zigzag da «brigata coniglio»[54]: «non è tedesco né italiano, siamo tutti tra i minori / come l’erba è minore, come la rugiada. / L’uomo avviene e viene/ tu salti oltre la strada e l’affossamento/ oltre il vallo ed il fumo»[55]. Il salto dall’altra parte, o meglio il farsi più in là degli sbandati italiani dopo l’armistizio, il loro essere di fatto sotto le insegne dello zanzottian-blochiano «principio resistenza»[56]. Questa ripresa e variazione del «principio speranza», è citata dallo stesso Zanzotto, e poi da Waterhouse a proposito di uno di movimenti che fecondano (‘fottono’?)[57] i campi lunghi e profondi de La Beltà, in un continuo palesarsi e dileguarsi.

 Il principio resistenza si può prendere come riferimento anche per l’impresa di traduzione intentata dal laboratorio Planet Beltà che, credo, rappresenti un’importante finestra da cui guardare alla ricezione di Zanzotto nell’area culturale di lingua tedesca. Azione editoriale di transfer, ma anche fenomeno di interferenza con poetiche – come quella di Waterhouse, che ha poi lasciato il segno in esperienze contemporanee e contigue realizzatesi negli ultimi 20 anni in area germanofona – stringendo in un unico gesto scrittura polifonica e transliguistica, consapevolezza consapevolezza storica e traduzione[58].


[1] Planet Beltà, die Werke von Andrea Zanzotto, herausgegeben von Donatella Capaldi, Maria Fehringer, Ludwig Paulmichl und Peter Waterhouse in einer gemeinsamen Edition der Verlage Urs Engeler Editor, Basel, Weil am Rhein und Wien und Folio Verlag, Wien und Bozen, 2001. L’impresa è stata insignita di molti importanti premi, tra cui il Preis für Europäische Poesie della Akademie für Sprache und Dichtung e il Premio Nazionale di Traduzione (Ministero della Cultura con l’alto patrocinio del Presidente della Repubblica Italiana).

[2] Andrea Zanzotto, Planet Beltà, I: La Beltà / Pracht, a cura di Donatella Capaldi, Maria Fehringer, Ludwig Paulmichl e Peter Waterhouse, Basel, Weil am Rhein, Wien / Wien Bozen, Engeler / Folio 2001. Ringrazio Ludwig Paulmichl, Folio Verlag, per la gentile concessione dei testi qui tradotti.

[3] Intendo il termine in senso arendtiano, ne ho scritto in Camilla Miglio, The Vita Activa of Translation. Towards a Transnational and Transsubjective Research, in Translatio/n. Narration, Media and the Staging of Differences, a cura di F. Italiano, M. Rössner, Bielefeld, Transkript Verlag 2012, pp. 89-102.

[4] Peter Waterhouse, Formidable* Obstacle. Versuch hier auf der Tenne nirgendwo hinzukommen, in parole: dante, quaderni. Zu den Übersetzungsgesprächen in Schwalenberg (Lippe) vom 9. – 15. August 2021, a cura di A. Eble, M. De Meo-Ehlert, F. Reinstadler e A. Vallazza, Graz, Edition Europäisches Kolloquium, gedruckt von Medienfabrik 2022, p. 12.

[5] Peter Waterhouse, Formidable* Obstacle, cit., p.12.

[6] Nota ai testi, in Andrea Zanzotto, La Beltà, in Id., Le poesie e prose scelte, a cura di Stefano Dal Bianco e Gian Mario Villalta con due saggi di Stefano Agosti e Fernando Bandini, Milano, Mondadori 1999 e 2019, p. 352.

[7] Cfr. infra la traduzione di Donatella Capaldi, Maria Fehrin ger, Ludwig Paulmichl, Peter Waterhouse, Das strikte Unvermögen jeglichen «Sprechens über», in Andrea Zanzotto, Planet Beltà. I: La Beltà / Pracht, cit., pp. 221-229: 223.

[8] Questo modo di intendere la materia come sempre rinnovata da una parola utopica e materiale ad un tempo, insieme poetica e politica paragonabile alla declinazione moderna del «logos spermatikòs» riscontrabile in Ernst Bloch sin dal Principio speranza, cui Zanzotto rende omaggio proprio in una delle note al testo de La Beltà (vedi infra). Sulla concezione blochiana cfr. Hans Heinz Holz, Logos spermatikòs. Ernst Blochs Philosophie der unfertigen Welt, Darmstadt / Neuwied, Luchterhand 1975, pp. 125, 140-148.

[9] Nota, in Andrea Zanzotto, La Beltà, cit., p. 352

[10] Peter Waterhouse, Formidable* Obstacle, cit. pp. 6-7.

[11] Ivi, p. 12.

[12] Ibidem.

[13] Ivi, p. 13. L’atelier del 2021 riguarda le traduzioni tedesche da Dante.

[14] Peter Waterhouse, Formidable* Obstacle, cit. pp. 13-14. «St. Veit im Jauntal / Sentvid v Podjuni / Agosto 2021»: Così si conclude il saggio di Waterhouse, scritto nel 2021 nello stesso luogo in cui col collettivo di traduzione aveva redatto la postfazione a La Beltà: (cfr. infra l’indicazione di data e luogo della postfazione, dove però è indicato solo il toponimo in tedesco). St. Veit è la località della Carinzia al confine con la Slovenia, cui il poeta, nel 1996-97, aveva già dedicato un intero poemetto, Traduzione dallo Jauntal, identificato come paesaggio e «fonte battesimale» di nomi luoghi e memorie plurilingui, lungo un confine contiguo a Austria, Slovenia e Italia (cfr. Traduzione dallo Jauntal, in Peter Waterhouse, Fiori. Manuale di poesia per chi va a piedi, a cura di Camilla Miglio, Roma, Donzelli 2009. Questi dettagli sono importanti, in quanto segni della circolazione e interferenza della vis zanzottiana attraverso la pratica traduttiva e di scrittura poetica di Waterhouse.

[15] Cfr. Profezie o memorie o giornali murali V, cit., p. 324 e Nota, in Andrea Zanzotto, La Beltà, cit., p. 353-354.

[16] Note, in Andrea Zanzotto, La Beltà, cit., p. 354.

[17] Donatella Capaldi, Maria Fehringer, Ludwig Paulmichl, Peter Waterhouse, Das strikte Unvermögen jeglichen «Sprechens über», in Andrea Zanzotto, Planet Beltà. I: La Beltà / Pracht, cit., pp. 221-229.

[18] Cfr. la Nota a proposito del «Principio resistenza»: «Il termine retorica dovrebbe richiamare la tesa impotenza di ogni “di scorso su” rispetto al vissuto», in Id., La Beltà, cit., p. 352.

[19] La diffrazione è parola zanzottiana. Di diffrazione come modo per non parare di, ma con hanno scritto Antonella Anedda, Le piante di Darwin e i topi di Leopardi, Novara, Interlinea 2022; Manuele Gragnolati, Francesca Southerden, Possibilities of Lyric: Reading Petrarch in Dialogue, Berlin, ICI Berlin Press 2020; Camilla Miglio, Ricercar per verba. Paul Celan e la musica della materia, Macerata, Quodlibet 2022.

[20] Titolo di un volume e di una poesia di Paul Celan pubblicata nel 1959, opera ben presente a Zanzotto.

[21] Peter Waterhouse, In Territorio di genesi. Saggio su alcune poesie di Paul Celan e Andrea Zanzotto, cit.

[22] Nota, in Andrea Zanzotto, La Beltà, cit., p. 357.

[23] Donatella Capaldi, Maria Fehringer, Ludwig Paulmichl, Peter Waterhouse, Das strikte Unvermögen jeglichen «Sprechens über», cit., p. 229.

[24] Ivi, pp. 221-229.

[25] Pier Paolo Pasolini, «La beltà» (Appunti) [sic, il titolo di Z. vuole la maiuscola], in «Nuovi Argomenti», n.s., 21, gennaio-marzo 1971; poi in Id., Il portico della morte, a cura di Cesare Segre, Roma, Associazione «Fondo Pier Paolo Pasolini» 1988; ora in Id., Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, saggio introduttivo di Cesare Segre, Milano, «I Meridiani» Mondadori 1999, vol. II, p. 2574. Si tratta del la registrazione della presentazione romana del libro, 1968. Grazie ad Andrea Cortellessa per le indicazioni sulla storia di questo testo.

[26] Cfr. il titolo Esautorazioni, in Andrea Zanzotto, La Beltà, cit., p. 310.

[27] Andrea Zanzotto, Note, in Id., La Beltà, cit., p. 347.

[28] Ibidem.

[29] Ibidem.

[30] Andrea Zanzotto, Profezie o memorie o giornali murali XVIII, in Id., La Beltà, cit., p. 347.

[31]Andra Zanzotto, Alla stagione, Ivi, p. 277

[32] Note, in Id., La Beltà, cit., p. 350.

[33] Oltranza oltraggio, Ivi, p.267

[34] Profezie o memorie o giornali murali I-XVIII, in Id., La Beltà, cit., pp. 318-347.

[35] Note, in Id., La Beltà, cit., p.353.

[36] Oltranza oltraggio, in Id., La Beltà, cit., p. 267.

[37] Profezie o memorie o giornali murali XI, in Id., La Beltà, cit., p. 332.

[38] Ivi, p. 334.

[39] Note, in Id., La Beltà, cit., p. 354

[40] Profezie o memorie o giornali murali XVII in Id., La Beltà, cit., p. 345.

[41] Note in Id., La Beltà, cit., p.356.

[42] Ivi, p. 350. Qui la nota più estesa di Zanzotto: «Vacuoli, ma anche faglie, elementi di vuoto o interruzione che assolvono a una funzione di talvolta positiva: tema comune, in molte variazioni, a tutta una linea di speculazione, soprattutto odierna».

[43] Possibili prefazi o riprese o conclusioni IV, in Id., La Beltà, cit., p. 284.

[44] Sì, ancora la neve, in Id., La Beltà, cit., p. 273.

[45] Note in Id., La Beltà, cit., p. 351.

[46] Profezie o memorie o giornali murali XVIII in Id., La Beltà, cit., p. 346-347: 347.

[47] Cfr. Sì, ancora la neve, in Id., La Beltà, cit., p. 274.

[48] Possibili prefazi o riprese o conclusioni, in Id., La Beltà, cit., p. 281.

[49] Retorica su: lo sbandamento, il principio “resistenza” in Id., La Beltà, cit., p.305.

[50] Nota in Id., La Beltà, cit., 352.

[51]  L’elegia in petèl, in Id., La Beltà, cit., p. 315-317.

[52] Nota in Id., La Beltà, cit., p. 351: «scarsi riferimenti al ‘bello’ come inizio del terribile’». Qui Zanzotto allude alla prima delle Elegie duinesi di Rainer Maria Rilke.

[53] Nota in Id., La Beltà, cit., p. 357.

[54] Nota in Id. La Beltà, cit. p. 352.

[55] Retorica su: lo sbandamento, il principio “resistenza”, I, in Andrea Zanzotto, La Beltà, cit., p. 305.

[56] Ibidem.

[57] Cfr. «fotti il campo» in Oltranza oltraggio, in A. Zanzotto, La Beltà, cit., p. 267; sulla generatività, sull’elemento erotico e «nuziale» nella poesia di Zanzotto si è espresso Waterhouse in P. Waterhouse, Im Genesis-Gelände. Versuch über einige Gedichte von Paul Celan und Andrea Zanzotto, Basel / Weil am Rhein / Wien, Engeler, 1998; trad. it. In territorio di genesi. Saggio su alcune poesie di Paul Celan e Andrea Zanzotto, a cura di C. Miglio, Roma, Castelvecchi 2021, p.22: «Non un paesaggio vis-à-vis, ma un paesaggio rimante, nuziale e continuo, un paesaggio dove nulla va perduto» – scrive Celan a proposito di Matière de Bretagne, poesia contenuta in Sprachgitter di Celan, come tratto che unisce il teso-paesaggio celaniano e quello zanzottiano.
[58]Penso per esempio a un’autrice come Uljana Wolf e alla sua pratica di scrittura translingue e traduzione collaborativa, o all’esperienza del laboratorio viennese di traduzione collaborativa Versatorium, iniziata intorno allo stesso Waterhouse, oggi una realtà importante nel discorso poetico, politico e letterario su poesia e traduzione in ambito germanofono (ne ho scritto in «Semicerchio», LVII 02/2017, p. 50).


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