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ROSANNA MORABITO, Il luogo incantato: Kod kuće (A casa, 1907) di Antun Gustav Matoš
(pp. 72-83).

 

Kod kuće

 

Duša moja čaroban je kraj,

Gdje jablan čuva gnijezda plemića,

Gdje vjetar nosi lipe miris žut

I blage pjesme predvečernji sjaj.

 

Polje, žubor, brežuljak i gaj

Od tajne boli ko da vječno pate,

Jer tu se rodi Kovačić i Gaj.

Taj krasni kraj je Gupčev zavičaj

I krvav uzdisaj.

 

Propali dvori — ko mjesec po danu!

Stid ih, što ih ostavio sin

Oršićâ hrabrih, starih Keglevića,

A kroz dvorski bršljan, rezedu i krin

Ceri se Jevrejin.

 

Duša naša zagorski je kraj,

Gdje jadnik kmet se muči zemljom starom

Uz pjesmu tîcā, kosácā i zvónā.

O, monotona naša zvòna bôna,

Kroz vaše psalme šapće vasiòna:

Harum — farum — larum — hedervarum —

Reliquiae reliquiarum!

(1905)

A casa

 

L’anima mia è un luogo incantato,

Dove il pioppo custodisce nidi di nobili,

Dove il vento porta giallo il profumo di tiglio

E di un canto dolce lo splendore crepuscolare.

 

Il campo, il gorgoglio, il colle e il boschetto

Come soffrissero sempre un dolore ascoso

Perché qui nacquero Kovačić e Gaj.

Quel luogo splendido è la terra di Gubec

E sospiro sanguinoso.

 

Palazzi in rovina: come luna di giorno!

Hanno vergogna che li ha abbandonati il figlio

Dei valorosi Oršić, dei Keglević antichi,

E tra l’edera dei muri, la reseda e il giglio,

Sogghigna l’ebreo.

 

L’anima nostra è la terra di Zagorje

Dove servo il contadino si sfianca sulla terra antica

Al canto di uccelli, falciatori e campane.

Oh, le dolenti monotone nostre campane,

Nei vostri salmi bisbiglia l’universo:

Harum — farum — larum — hedervarum —

Reliquiae reliquiarum!

(1905)

 

 

Questa lirica di Antun Gustav Matoš, la prima che compose nella lingua letteraria croata štokava, compare in una prima versione in un racconto di viaggio nato nel 1905 in occasione del primo viaggio a Zagabria che lo scrittore compì in incognito dopo undici anni di permanenza all’estero a seguito della diserzione dall’esercito austroungarico. La versione definitiva dell’intero testo uscirà nel 1907 con il titolo A casa, successivamente attribuito anche alla poesia. Il testo poetico A casa[1] appare come una sintesi lirica di temi e motivi che saranno centrali nell’opera dell’autore e la sua analisi richiede la sua contestualizzazione nel testo in prosa che lo contiene e nella produzione matošiana del periodo.

1.Autore di novelle, poesie, racconti di viaggio, saggi e una vasta e varia produzione pubblicistica, critica e polemistica, A.G. Matoš (1873-1914) è una figura centrale della cultura e della letteratura croata al passaggio tra il XIX e il XX secolo[2]. Inizia presto a pubblicare prosa mentre la poesia entra – come vedremo - relativamente più tardi nella sua opera[3]. Anche nei generi prosastici, tuttavia, la sua scrittura è connotata da una vena fortemente lirica. Possiamo ricordare che secondo Jure Kaštelan, «la poesia è il tono basilare e dominante del suo temperamento, della sua opera nell’insieme e del suo stile» (“poezija je osnovni i dominantni ton njegova temperamenta, njegova djela u cjelini i njegova stila”, Kaštelan 1957, p. 8; si veda anche p. 133).

La sua vita fu segnata irreversibilmente dalla diserzione dall’esercito asburgico nel 1894, che lo costrinse a quasi quattordici anni di esilio fino al 1908 quando, graziato, poté tornare a vivere a Zagabria, già malato, per morire solo sei anni dopo. Trascorse gli anni dell’emigrazione in gran parte a Belgrado (un primo soggiorno dalla fine del 1894 alla fine del 1897 e poi dalla metà del 1904 all’inizio del 1908), con un lungo e fondamentale soggiorno a Parigi[4] dalla metà del 1899 alla metà 1904 e una significativa permanenza di un anno e mezzo a Ginevra tra 1898 e 1899, oltre ad alcuni brevi soggiorni in altre città europee (Tadijanović 1953, pp. 387-388). Musicista e scrittore, durante la lunga emigrazione si assicura la sopravvivenza soprattutto con la penna, tra innumerevoli difficoltà e in costante stato di indigenza.

Altro elemento determinante nella biografia di Matoš fu la passione politica, la sua profonda adesione agli ideali nazionalistici di Ante Starčević (1823-1896)[5], che sempre lo contrappose alla politica imperialistica della monarchia austro-ungarica e alla classe politica croata responsabile di aver accettato il compromesso (Nagodba) del 1868 che poneva la Croazia continentale sotto il controllo di Pest. L’ideologia del Partito croato del diritto (pravaštvo), cui Matoš aderì profondamente fin dalla giovinezza, si basava su «un croatismo politico esclusivo» (“ekskluzivni politički kroatizam”, Nemec 2015, p. 797) e su una lettura della storia che rivendicava piena autonomia rispetto al dominio austroungarico in virtù della volontarietà della scelta con cui i croati nel 1527 avevano accettato la sovranità degli Asburgo sul proprio territorio. Il pravaštvo ebbe importanza fondamentale anche per la letteratura: «nella storia della letteratura croata non c’è un’ideologia che si sia infiltrata in tale misura nel discorso letterario e che abbia influito su di esso con tale forza com’è il caso del pravaštvo» (Nemec 2007)[6].

Di quella che viene definita la parte culturalmente ed eticamente più avanzata dell’arretrata società croata (Nemec 2015, p. 799) Matoš, con la forte vena polemica[7] che lo anima e con una grande influenza sui giovani, è figura centrale e del pravaštvo è considerato anche ideologo (ivi, p. 814):

 

egli trasformò le potenzialità del radicalismo dei pravaši non solo in un nuovo patriottismo moderno bensì anche in uno stile particolare e originale […] Poiché l’influenza di Matoš sulla letteratura croata è incommensurabile (se la grandezza di uno scrittore si misurasse con l’influenza che ha esercitato nella letteratura, allora forse Matoš è uno dei più grandi scrittori croati!), molte caratteristiche essenziali del discorso artistico del pravaštvo si sono diffuse attraverso Matoš nella letteratura croata (Nemec 2007)[8].

 

1.1.Tornato a Belgrado da Parigi, Matoš non può ancora rientrare legalmente nel suo Paese, dove lo attirano una lacerante nostalgia, la passione politica e la vita privata[9]. Dopo undici anni di assenza dalla Croazia, nel 1905 il disertore Matoš intraprende un primo viaggio in incognito a Zagabria dove arriva a fine giugno. Frutto letterario di quel primo ritorno nel luogo di appartenenza sarà il testo Imaginarno putovanje ili novi furtimaš u Zagrebu (Viaggio immaginario ovvero Il nuovo viaggiatore in incognito a Zagabria, SD IV, p. 312)[10], pubblicato a puntate sul giornale Obzor[11] tra l’ottobre e il novembre dello stesso anno. Il racconto di viaggio sarà poi sensibilmente rimaneggiato e abbreviato per essere stampato nel 1907 nel quarto volume pubblicato da Matoš, Vidici i putevi. Eseji i impresije (Vedute e percorsi. Saggi e impressioni), con il titolo Kod kuće (A casa, SD IV, pp. 27-46). La raccolta comprende testi scritti per lo più durante il secondo soggiorno a Belgrado tra il 1904 e il 1906 e pubblicati su vari periodici. Nell’introduzione alla raccolta, Čitaocu (Al lettore, SD IV, pp. 7-8), dalla sua posizione di outsider («vivendo al di fuori delle nostre letterarie e politiche consorterie»)[12] l’autore non risparmia espressioni dure sulla società croata asservita alla tirannia di Vienna, Pest, Roma. In una lettera del 1907 a Milan Ogrizović, lo scrittore afferma che il volume presenta un «quadro della mia evoluzione dall’anarchia intellettuale a un soggettivismo positivo croato» (“slika moje evolucije iz intelektualne anarhije u hrvatski pozitivni subjektivizam”, SD IV, p. 303).

Il racconto di viaggio Kod kuće è definito da D. Tadijanović[13] uno dei migliori tra quelli scritti dall’autore (SD IV, p. 312) e considerato da Oraić Tolić «il modello dell’idea e della pratica estetica del paesaggio nei primi racconti di viaggio di Matoš» (“model ideje i estetske prakse krajolika u Matoševim ranim putopisima”, Oraić Tolić 2013, p. 323). Nella declinazione matošiana del genere del racconto di viaggio, di cui lo scrittore è considerato riformatore, il centro di gravità della narrazione è spostato sul soggetto odeporico, sui suoi stati d’animo e sulla sua esperienza dello spazio (Brešić 2016, p. 652).

Dubravka Oraić Tolić definisce i racconti di viaggio e i feuilleton come la sintesi dell’opus prosastico dello scrittore (Oraić Tolić 2013, p. 81) e mette in rilievo il ruolo centrale del paesaggio nella sua opera[14]:

 

L’idea del paesaggio di Barrès e di Amiel furono solo uno stimolo nel quale Matoš sulle tracce delle tradizioni pastorali croate e dell’esperienza di sradicamento riconobbe il simbolo dell’identità propria e del popolo, e quindi diede forma a quel simbolo in una simbiosi di impressionismo e simbolismo, con elementi secessionistici e di altre componenti stilistiche[15].

 

Nello spazio inteso come «una costruzione sociale e/o culturale» (“prostor [je] socijalni i/ili kulturni konstrukt”, Brković 2013, p. 115)[16], il paesaggio è oggi considerato uno spazio «etico ed estetico insieme», «spazio storico-culturale: spazio d’una natura modificata (in termini teorici e pratici) dall’uomo» (Cocco 2013)[17]. Nel racconto matošiano del primo viaggio in Croazia dopo il ritorno a Belgrado, soprattutto nelle parti dedicate al paesaggio, vediamo che la natura e la cultura, la Storia e l’attualità concorrono a costruire una immagine artistica della realtà socio-politica e culturale croata, una rappresentazione della sua concezione della patria e della nazione[18].

D’altra parte, proprio nei racconti di viaggio e nei feuilleton, come anche nella critica letteraria e artistica, si manifesta il «bisogno sfrenato» matošiano «di inserire in quasi ogni suo testo manifestazioni di intellettualità ed erudizione» (“neobuzdana potreba da gotovo u svaki svoj tekst unese očitovanja intelektualnosti i erudicije”, Žmegač 1997, p. 56). Anche in A casa, infatti, troviamo momenti in cui si esprime pienamente la sensorialità impressionistica dello scrittore e momenti in cui la rappresentazione storico-culturale prevale (ivi, p. 57 e segg.)[19].

 

1.2. Il testo è strutturato in quattro ‘pianti’ sul modello del poema religioso di Ivan Gundulić (1589-1638) Suze sina razmetnoga (Le lacrime del figliol prodigo, 1622) e rispetto al Viaggio immaginario ha una composizione più concentrata e stilisticamente più attenta[20]. Il Primo pianto narra con forte carica emotiva dell’arrivo del viaggiatore nella città di Zagabria dopo undici anni di assenza[21]. Mentre la natura dei dintorni è immutata, la città lo delude profondamente per i forti cambiamenti che marcano una sempre più sensibile presenza straniera.

Nel Secondo pianto il soggetto si allontana dalla capitale per tornare nella vicina cittadina di Brezovica, un paesino dello Hrvatsko Zagorje cui lo scrittore era particolarmente legato fin dall’infanzia e la cui bellezza idillica risveglia in lui una piena consonanza di emozioni. Anche qui, però, rileva la presenza dello straniero che fa risuonare corde di risentimento.

Ventiquattro ore dopo (Terzo pianto), il viaggiatore torna nuovamente a vagare con attitudine flaneuristica[22] per Zagabria dando spazio anche a reminiscenze letterarie e storiche legate alla città. Non mancano neanche qui riferimenti all’attualità politica carichi di amarezza e risentimento.

Il Quarto pianto è dedicato sostanzialmente alla regione collinare a nord di Zagabria, lo Zagorje, al tempo di Matoš ancora completamente rurale. Questa ultima parte del viaggio, che il soggetto definisce come un «pellegrinaggio» (“hodočašće”, SD IV, p. 37), si svolge all’insegna di elementi fantastici a cominciare dall’incontro con Petrica Kerempuh[23] che lo accompagnerà in questa parte del ‘viaggio’, per concludere poi il pianto, e il racconto stesso, con un colloquio con Dioniso[24], nume tutelare del luogo. A Dioniso, di cui si professa seguace, il viaggiatore chiederà infine di insegnargli l’arte della poesia, «perché lei sola dà la felicità del sogno e della smemoratezza» (SD IV, p. 46 “jer jedino ona daje sreću sna i zaboravnosti”). Questo ultimo pianto, che ha un’estensione quasi pari a quella dei tre precedenti[25], è ricco di riflessioni sulla natura e sulla cultura dei luoghi, sulla dimensione storica e sociale che li caratterizza.

 

 2. All’interno del quarto pianto, sia nel testo del 1905 che in quello del 1907 si trova un componimento poetico (SD IV, p. 41)[26], privo di un titolo ma in seguito divenuto noto con lo stesso titolo della prosa Kod kuće (A casa). Si tratta della seconda poesia pubblicata dallo scrittore e della prima scritta nella lingua letteraria croata štokava[27]. Dal 1906 Matoš avrebbe cominciato a pubblicare le sue poesie nei periodici. La sua produzione poetica conta circa ottanta poesie, composte tra il 1905 e il 1914, dunque al tempo del secondo soggiorno a Belgrado e dopo il ritorno a Zagabria (Kravar 1996, pp. 13-14), e nella letteratura considerate di valore ineguale. La sua opera, tuttavia, è ormai stabilmente parte del canone lirico nazionale (Brešić 2016, p. 650).

Il primo componimento uscito in rivista, Utjeha kose (La consolazione della chioma) del 1906, sarà poi inserito in chiusura della raccolta di 39 poesie che Matoš approntò nel 1911 senza però riuscire mai a pubblicarla.[28] La lirica A casa non era inserita nella raccolta poetica e sarà stampata per la prima volta con quel titolo solo postuma, in una raccolta del 1923 (SD V, p. 327).

Poeta con il culto della forma, «marcatamente intellettuale e razionale» (“izrazito intelektualan i racionalan”), Matoš è aperto ad un ampio spettro di registri (anche bassi, come il brutto, la caricatura e il grottesco, Kravar 1996, p. 18) e «per ambizioni versificatorie, ma anche per capacità» (“po verzifikatorskim ambicijama, ali i sposobnostima”) è riconosciuto senza pari nella Croazia del tempo (ivi, p. 30). Per Matoš, peraltro, il culto dell’art pour l’art non escludeva dalla letteratura l’ideale nazionale, sulla scia della tradizione romantica e patriottica che dall’epoca della rinascita nazionale (Preporod) faceva della letteratura un elemento cruciale per la formazione e l’affermazione dell’identità nazionale croata (Coha 2016, p. 661).

 

2.1. Come osserva Zoran Kravar, nella lirica dei principali poeti della Moderna croata non sono frequenti i temi di attualità, «i loro temi appartengono in prevalenza a mondi al di là della realtà esperienziale (passato, idillio, mito, trascendenza, utopia), cosa che sottintende un rapporto polemico con l’attualità» (Kravar 2001c, p. 89)[29]. Matoš rappresenta una «parziale eccezione» ma esprime esplicitamente un atteggiamento ideologico fortemente critico nei confronti della realtà contemporanea (“Djelomična je iznimka Antun Gustav Matoš”, Kravar 2001c, p. 89 e segg.).

La sua prima poesia štokava è una sintesi lirica di temi e motivi toccati nel testo in prosa che la contiene e vi troviamo quello che sarà «uno dei metodi tipici con cui Matoš introduce i suoi temi nella cerchia dei segni letterari» (“jedna od tipičnih metoda kojima Matoš svoje teme uvlači u krug literarnih znakova”, Kravar 2001c, p. 90), ossia «l’allusione letteraria o storico- culturale» (“književna ili kulturnopovijesna aluzija”) attraverso metafore, metonimie, antonomasie, ecc. (ibidem)[30]. In questa lirica la polemica ideologica si fa invettiva contro il presente in nome di un passato idealizzato ‘incarnato’ tanto nel soggetto poetico quanto nello spazio geoculturale.

Negli studi approfonditi che Dubravka Oraić Tolić dedica al paesaggio nell’opera di Matoš, in cui individua un vero proprio “načelo krajolika” («principio del paesaggio», Oraić Tolić 2013, p. 66 e segg. e passim), grande spazio è riservato anche al ruolo del paesaggio nella costruzione dell’idea matošiana della nazione, tanto nella produzione pubblicistica quanto in quella poetica[31]. La studiosa individua una affinità tra l’idea di paesaggio dello scrittore e il concetto di ethnoscape di A.D. Smith (da lei tradotto in croato come etnolik), inteso come «paesaggio poetico sacralizzato dalla tradizione, riempito di memorie di importanti eventi e persone della storia della comunità etnica» (“tradicijom posvećeni, sakralizirani poetski krajolik ispunjen sjećanjima na važne događaje i osobe iz povijesti etničke zajednice”, Oraić Tolić 2013, p. 289), ovvero come costruzione simbolica che coniuga bellezza della natura e memoria storica inscritta nei luoghi, basandosi sull’unità tra l’individuo, la comunità e lo spazio in cui essa è radicata (ibidem e passim). In questo contesto, Oraić Tolić definisce la lirica A casa una «inaugurazione lirica del tema del paesaggio come etno-immagine [etnolik] » (“lirska inauguracija teme krajolika kao etnolika”, Oraić Tolić 2013, p. 321)[32].

Osserviamo, di nuovo con Zoran Kravar, che «è naturale che una visione del mondo in cui la quotidianità borghese è considerata in modo negativo assegni un ruolo privilegiato al paesaggio e al passato, come negazione spaziale e valoriale della vita borghese» (“prirodno je da svjetonazor u kojem loše prolazi građanska svakidašnjica povlašćuje krajolik i prošlost, kao prostornu i vrijednosnu negaciju građanskog života”, Kravar 2001a, p. 205).

 

2.2. Nel Viaggio immaginario, la lirica è introdotta dalla citazione esplicita di una poesia di Paul Verlaine (Clair de lune[33]), poi eliminata nel 1907:

 

la natura, il passato e la brutalità del presente ricamano sotto i miei occhi l’idillio più armonioso con un contrasto spirituale con l’anima del suo figliastro contadino che adora la zolla che lo soffoca e l’opprime. Conoscete la poesia di Verlaine che in un’immagine da paesaggio di Watteau evoca l’essenza dell’anima francese: “Votre âme est un paysage choisi”? (“priroda, prošlost, surovost sadašnjosti vezu mi pred očima najpitomiju idilu duševnim kontrastom njenog seljačkog pastorka što obožava grumen koji ga davi i tlači. Poznate li Verlaineovu pjesmu gdje u slici Watteau-pejzaža evocira suštinu francuske duše: ‘Votre âme est un paysage choisi’?, SD IV, p. 333).

 

E quel verso di Verlaine viene effettivamente ripreso e variato nella poesia matošiana a dare espressione lirica a un senso di appartenenza intriso della nostalgia dell’esule, dell’orgoglio per la grandezza passata della storia patria e dell’amarezza del patriota per il servaggio attuale.

L’analisi del testo permette di ricostruire la trama di elementi intertestuali che legano la lirica al racconto di viaggio ma anche ad altri scritti matošiani dello stesso periodo.

 

2.2.1. Come in gran parte della lirica matošiana[34], anche qui prevalgono i versi di dieci e undici sillabe, mentre i versi più brevi alla fine della II, della III e della IV strofa sottolineano momenti drammatici nel testo. I ventuno versi del componimento sono distribuiti in quattro strofe polimetre[35], di diversa lunghezza (la prima di quattro versi, la seconda e la terza di cinque e la quarta di sette versi ma da leggere come 5+2) e con differente tendenza ritmica, sia trocaica che giambica; irregolare la distribuzione delle rime.

Kaštelan annoverava il testo tra quelli che presentano la struttura compositiva tipica matošiana, comprendente «una parte introduttiva, un capovolgimento o un contrasto e il messaggio conclusivo» (“1) Uvod; 2) obrat i sukob; 3) poenta”, Kaštelan 1957, p. 131 e n. 32), qui corrispondenti all’introduzione sul luogo incantato (prima strofa), seguita da una parte centrale in contrasto che attribuisce al luogo connotazioni emotive dolorose e amare (seconda e terza strofa) e una parte finale in cui emerge la motivazione dell’amarezza.

Mentre nel racconto il viaggiatore aveva osservato che «nel puro paesaggio croato riconosciamo gli elementi dell’anima nostra» (“u čistom hrvatskom pejsažu upoznajemo elemente duše naše” SD IV, p. 32, Pianto secondo)[36], il primo verso della poesia rappresenta, seguendo Verlaine, un’inversione dei termini, giacché l’anima stessa del soggetto poetico è un luogo magico e, malgrado l’uso della prima persona singolare (nel Paesaggio immaginario era una prima plurale, “nostra”), siamo preparati a riconoscervi ‘l’essenza’ dell’anima croata, perché l’arcadico Zagorje è già stato eletto a sineddoche della Croazia tutta: «chi vuol sapere cos’è la Croazia autentica, classica, che venga nell’Arcadia triste e allegra». (SD IV, p. 39, IV pianto, “Ko hoće znati što je klasična, prava Hrvatska, neka dođe u tužnu i veselu Arkadiju”). E di più, il viaggiatore stesso si è già dichiarato «voce della Croazia dispersa per il mondo, sradicata» (SD IV, p. 36, III pianto, “glas iskorijenjene, svijetom razbacane Hrvatske”).

La commovente bellezza dei luoghi, che per il viaggiatore riflette idealisticamente la purezza dell’anima popolare croata idealizzata, è profanata ai suoi occhi dalla penetrazione degli stranieri, che hanno preso possesso del territorio per sfruttarlo, mortificandone le qualità e frenandone lo sviluppo.

Il viaggiatore parla di luoghi incantevoli, fatti per le fantasticherie e la poesia e anzi, «’Tutta la natura dello Zagorje incantevole e stupendo è poesia’. E in quella poesia non c’è niente di estraneo al carattere più intimo dell’anima croata» (SD IV, p. 40, “‘Sva narav ubavoga i krasnoga Zagorja jedna je pjesma’[37]. I u toj pjesmi nema ništa tuđe najintimnijem karakteru hrvatske duše”). Nel Viaggio immaginario, il passo era riferito direttamente al soggetto odeporico: “I ništa nema u toj pjesmi što bi bilo u neskladu sa najintimnijom mojom dušom” («E non c’è niente in quella poesia che sia in contrasto con la mia anima più intima», SD IV, p. 333). È evidente nella seconda versione lo spostamento dal piano personale, individuale, a quello collettivo della nazione croata.

Nella prima strofa il paesaggio campestre viene evocato da immagini visive (pioppi), olfattive (il profumo dei tigli, con una sinestesia definito giallo) e sonore (un canto dolce, anche qui sinesteticamente connotato dal suo splendore crepuscolare).

Già nel secondo verso compare un forte elemento antropico, i nidi di nobili[38], che allude alla antica grandezza delle casate nobiliari della regione oggi in decadenza, casate che saranno direttamente nominate nella terza strofa, caratterizzando subito il paesaggio come sintesi di natura e storia.

L’atmosfera serotina del luogo incantato e protetto evocato nella prima strofa appare rapidamente turbata nella strofa successiva da un dolore segreto del paesaggio. La natura stessa, umanizzata, sembra dolersi della storia di sofferenza della regione, che diede i natali non solo ad Ante Kovačić (1854-1889)[39] e Ljudevit Gaj (1809-1872)[40], ma anche al celebre Matija (Ambroz) Gubec[41], capo della grande rivolta contadina del 1573. Il verso breve, un senario, che chiude la strofa di cinque versi, sottolinea la drammaticità di quella storia anche con la rima dattilica di uzdisaj (sospiro, definito «sanguinoso») con zavičaj (luogo di appartenenza) del verso precedente.

Umanizzati sono anche i castelli in rovina[42] della terza strofa, che precisa lo stato di decadenza dei «nidi di nobili»: visione sfumata come la luna di giorno, pallido simulacro metonimico della grandezza passata, con la loro vergogna per essere stati abbandonati interpretano l’amarezza del poeta di fronte ai resti del patrimonio patrio lasciato in balia del capitale straniero[43]. Anche questo motivo è presente nel testo in prosa, in un passo che si riferisce ai dintorni di Brezovica (cfr. SD IV, p.344) in cui è anticipato un topos che ritroveremo nell’ultima strofa: «amando tutto ciò che sta morendo, non passo mai con indifferenza accanto agli antichi castelli in abbandono i cui antichi signori hanno cercato di difendere quelle reliquie croate perché il loro discendete li vendesse quanto più a buon mercato» (SD IV, p. 32, pianto II, “Ljubeći sve što umire nikad ne prolazim indiferentno pokraj starih zapuštenih dvorova kojih su stari gospodari branili te hrvatske relikvije da bi ih njihov potomak što jeftinije prodao”, corsivo mio). In questa terza strofa, nell’«antitesi tra locale e straniero» si introduce un elemento particolare dal tono antisemita[44], sebbene lo scrittore neghi in varie occasioni di esserlo. Nel testo in prosa la presenza ebraica nelle terre croate è connotata piuttosto come straniera tout court, portatrice perciò del medesimo bagaglio di sfruttamento della politica ungherese. Parlando del paesaggio bucolico di Brezovica[45], il soggetto odeporico osserva: «anche in quest’isola di smemoratezza, acquisito con l’antica spada e creato per le fantasticherie e la poesia, anche qui è diventato signore l’ebreo, anche qui il castellano è lo straniero di Pest» (SD IV, p. 32, II pianto, “i na tom ostrvu zaboravnosti, dobijenom na maču grebeštaku i stvorenom za sanjarenje i poeziju, i ovdje se ukmetio Židov, i tu je kastelan peštanski došljak!”)[46]. Ancora più esplicito era nel Viaggio immaginario: «Non sono, oh Gesù!, antisemita, ma sono anti-straniero» (“Nisam, o Jeses!, antisemit, ali sam antituđinac”, SD IV, p. 324). Nel Viaggio troviamo anche altri passi poi eliminati che toccano il tema dell’antisemitismo e degli ebrei come appartenenti alla stessa schiera dei colonizzatori austriaci e ungheresi e altrettanto estranei ai valori delle comunità locali[47]. Nel I pianto, commentando il prevalere dell’elemento straniero a Zagabria, cui fa da pendant l’emigrazione croata, il viaggiatore commenta ironico: «esportiamo croati, importiamo ungheresi, ebrei, tedeschi e gesuiti» (“Izvozimo Hrvate, uvozimo Madžare, Hebrejce, Švabe i Jezuite!”, SD IV, p. 320). In A casa restano espressioni molto generiche ma molto polemiche: «Tutto proprietà straniera, mentre il croato è giusto soldato, prete, impiegato o contadino: servo di Dio o degli uomini ma servo, servo!» (SD IV, p. 29, Il pianto, “Sve tuđe gospodstvo: dok je Hrvat tek vojnik, svećenik, činovnik ili seljak: sluga božija ili ljudski – sluga sluga!”). Rimane tuttavia il dubbio che forse, oltre al malanimo verso lo straniero che da una posizione politica ed economica privilegiata sfrutta e opprime l’arretrata società croata, ci sia anche una qualche adesione al luogo comune dell’ebreo come usuraio.

Nella quarta e ultima strofa, più lunga delle precedenti (sette versi, ovvero 5+2), è variato l’incipit del componimento con il passaggio dalla prima persona singolare (“Duša moja”, «La mia anima», I verso I strofa) alla prima persona plurale (“Duša naša”, e poi “naša zvona”, «La nostra anima», «le nostre campane»). Attraverso questa generalizzazione, il soggetto poetico realizza la propria identificazione con la comunità di riferimento e l’identificazione di questa con il luogo, esplicitamente indicato qui nello Zagorje ed evocato solo tramite i suoni che accompagnano l’immagine della dura vita dei contadini.

Tra le marche sonore del luogo, insieme al canto degli uccelli e dei mietitori, c’è il mesto tocco delle campane, motivo ricorrente nell’opera di Matoš. Nella sequenza delle vocali del quarto verso dedicato alle campane (quattro o, tre a, due volte o-a), Ivo Frangeš sente risuonare «la mancanza di vie d’uscita della situazione croata dell’epoca post-Khuen» (“bezizlaznost hrvatske postkhuenovske situacije”, Frangeš 1980, pp. 303-304). Nella scrittura matošiana la campana appare come un elemento simbolico profondamente radicato nel paesaggio croato eletto a ‘voce’ sconsolata di quella terra rurale dalla secolare storia di asservimento a potenze straniere.

Già nel citato testo del 1903, Sorte di una campana di villaggio, Matoš indicava nel suono delle campane un elemento portante del senso di comunità nella società rurale:

 

E cos’è poi la campana per il nostro contadino e per la nostra campagna! Spesso l’unica musica, l’unica gioia e consolazione. La campana è una aerea preghiera potente che si leva tre volte ogni giorno verso le nubi e fino alle prime stelle, attraverso i campi arati e le capanne e i verdi boschi bui; la campana è la voce, il suono metallico della campagna, e ogni nostro villaggio di una certa dimensione ha il suo suono particolare così come ha i suoi abiti tradizionali e la sua pronuncia particolari (“A što je tek zvono našemu seljaku i našem ladanju! Često jedina muzika, jedina radost i utjeha. Zvono je zračna, silna molitva što se svaki dan po tri put penje put oblaka i do prvih zvijezda, preko oranica i koliba i zelenih tamnih šuma; zvono je grlo, metalni glas ladanja, i svako naše veće selo ima osobit svoj glas kao što ima osobite nošnje i izgovor”, SD XV, p. 65).

 

Anche nel racconto di viaggio A casa le campane compaiono come richiamo del genio della terra e del luogo, con toni elevati e patetici: «e quando dai poggi aprichi prendono a risuonare le campane meridiane, il genio della terra prende a pulsarvi nel petto beato[48], e attraverso una lacrima di commozione ascoltate l’inno pastorale della terra natia» (“… a pošto zabruje sa župnih humaka podnevna zvona, genij zemlje zakuca vam u orajenim grudima, i kroz suzu zanosa slušate pastoralnu himnu postojbine”, SD IV, p. 42). La campana quindi è elevata a elemento simbolico della comunità tutta di un Paese nella sua maggior parte ancora sostanzialmente rurale.

Nel quinto verso, il suono delle campane ‘monotone’ e ‘dolenti’ si caratterizza come una sorta di lamento universale («attraverso i vostri salmi bisbiglia l’universo ») sullo stato di miseria e abbandono di quella terra croata, povero resto di una grandezza passata, come sottolinea il distico finale, acme del componimento. In un gioco di suoni che richiamano onomatopeicamente i rintocchi, termini latineggianti mirano a rimare una forma storpiata del nome del famigerato bano Khuen-Héderváry[49] con l’ultimo verso, che richiama una espressione latina ormai topica[50], che il viaggiatore aveva già evocato nel testo in prosa[51]. Risalente alla letteratura umanistico-rinascimentale, il sintagma reliquiae reliquiarum sintetizza la desolazione delle terre dell’antico regno croato di cui, a causa della avanzata ottomana nei Balcani, non rimanevano che delle “reliquiae reliquiarum”.

 

3. Le idee ‘incarnate’ qui nel paesaggio dello Zagorje saranno in altri scritti sviluppate ed estese alla visione della Croazia tutta, come parte essenziale della costruzione matošiana dell’identità nazionale. «I luoghi sono persone e le persone sono luoghi» (“Krajevi su ljudi, a ljudi su krajevi”), dirà Matoš nel racconto di viaggio Iz Samobora (Da Samobor, SD IV, p. 99), del 1908. Nella lirica lo Zagorje è un cronotopo poetico che condensa lo spessore temporale della storia dei luoghi concepiti come simboli del Paese tutto (la Croazia) e assunti a baluardo di identità e appartenenza per il soggetto poetico e per la nazione di cui quegli si elegge interprete. Nell’epoca in cui si diffonde l’ideologia jugoslavista, che poi avrebbe prevalso fino agli anni Novanta del XX secolo, Matoš rimane ancorato ad un’ideale nazionale puramente croato, l’ideale di una nazione territoriale e politica in cui la cittadinanza fosse determinata dall’appartenenza allo spazio culturale e naturale e non dall’etnia o dalla confessione religiosa, di uno stato autonomo e indipendente da tutti i popoli vicini a prescindere da quanto affini.

Nel racconto di viaggio A casa, si costruisce, tra idealizzazione e riferimenti storici e culturali, una narrazione dell’identità croata autoctona. Praticamente quasi assenti paragoni con la vicina Serbia, che pure costituirà la ‘alterità’ necessaria alla sua costruzione dell’identità nazionale (Oraić Tolić 2013, p. 257 e passim; Coha 2016, p. 667). Nel Viaggio immaginario, in un altro dei passi poi eliminati, i serbi, pur riconosciuti come parte di una medesima stirpe e pur parlando una medesima lingua, erano definiti come un popolo differente per storia, cultura e tradizioni: «perciò noi e i serbi siamo una stessa stirpe, ma due popoli, una lingua, ma due anime» (“zato smo mi i Srbi jedno pleme, ali dva naroda, jedan jezik, ali dvije duše”, SD IV, p. 337). Il tema della differenza tra Serbia e Croazia e tra serbi e croati sarà poi ripetutamente trattato da Matoš in scritti successivi, come nel racconto di un altro viaggio nei medesimi luoghi “Oko Lobora” («Nei dintorni di Lobor»)[52]. Tornando alla lirica A casa, lo spazio ivi delineato convoglia elementi della secolare storia croata, elementi della cultura ed elementi del paesaggio naturale e antropico a fare dello Zagorje un vero e proprio cronotopo identitario. Lo spazio geografico e culturale che il viaggiatore attraversa nel racconto, e che è sintetizzato nella lirica, è sostanziato della passione politica e della visione nazionale dell’autore, oltre che dell’amore per i luoghi che ai suoi occhi incarnano la bellezza autentica dell’ideale. Emblematico un passo che compare in una delle parti finali del Viaggio immaginario, poi eliminate: «Non è vero che la patria è l’unico specchio per conoscere sé stessi? La Croazia più pura è il paesaggio croato» (“Zar ne da je domovina jedino ogledalo za poznavanje sebe? Najčišća Hrvatska je hrvatski peizaž”, SD IV, p. 340).

Dopo il ritorno a casa, la delusione per il prevalere delle istanze jugoslaviste porterà lo scrittore a potenziare il proprio estetismo letterario (Oraić Tolić 2013, p. 323)[53]. Se la sua visione di bellezza e nostalgia di un passato nazionale idealizzato viene superata dalla crescente diffusione dell’ideologia unitarista[54], i luoghi di Matoš vivono però ancora oggi di quella bellezza nelle pagine migliori dei suoi racconti di viaggio, come ad esempio in un celebre passo di Iz Samobora, in cui troviamo elaborata compiutamente la concezione matošiana del paesaggio e del suo ruolo nella costruzione identitaria della nazione:

 

Il paesaggio non è solo il nostro legame visibile con il mistero dell’universo armonico, bensì anche la forma visibile dell’azione costante dell’anima croata originaria primitiva sulla nostra. Se la nostra anima è il risultato delle impressioni, se quelle impressioni sono in maggioranza suoni croati e immagini croate, immagini dei luoghi croati, la nostra anima come quest’albero e i frutti è il risultato del paesaggio croato. Noi come questa mela e questo grappolo siamo frutti di questa terra e perciò questo ambiente ci incanta tanto, ci esalta e ci attrae, perché è noi stessi, sono le parti originarie dell’anima nostra che vediamo qui come nello specchio della nostra misteriosa sorgente[55].

 

Bibliografia

 

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VOLUMI CITATI

 

I: Iverje, Novo iverje, Umorne priče, uredio Dragutin Tadijanović.

IV: Vidici i putovi, Naši ljudi i krajevi, uredio Dragutin Tadijanović.

V: Pjesme, Pečalba, uredio Dragutin Tadijanović.

VI: O hrvatskoj kniževnosti (1898-1909), uredio Nedjeljko Mihanović.

XV: Feljtoni, impresije, članci, uredila Vida Flaker.

 

DIZIONARI

 

Parčić, Carlo A., Vocabolario croato-italiano, terza edizione corretta e aumentata, Zara, Tipografia editrice “Narodni list” 1901.

 

Rječnik hrvatskoga kajkavskoga književnog jezika (http:// kajkavski.hr/).



[1] Presento una versione italiana priva di ambizioni metriche e che, pur ricercando il ritmo e altri fattori poetici, vuole essere il più possibile aderente all’originale.

[2] Molti tra i più rilevanti studiosi croati si sono occupati di A.G. Matoš, come testimonia la vasta bibliografia a lui dedicata (Jelčić 2011, si veda anche la bibliografia scelta in http://virtualna. nsk.hr/agm/1934/01/05/bibliografija/ ultimo accesso 9-1-2022). Naturalmente le loro acquisizioni critiche sono alla base anche del mio lavoro.

[3] Mentre il primo racconto, Moć savjesti (Il potere della coscienza), esce sul Vijenac nel 1892, quando l’autore aveva diciannove anni, Matoš «nel 1906 aveva trentatre anni compiuti quando per la prima volta si decise a stampare i propri versi» (“Imao je 1906. punih tridesetitri ljeta kad se odlučio prvi put tiskati vlastite stihove”, Maroević 2014). Al verso sono giunto con l’evoluzione della mia prosa”, ebbe a dire lo stesso Matoš in una lettera del 1907 (“do stiha dođoh evolucijom svoje proze“, cit. in Kaštelan 1957, p. 90).

[4] A Parigi Matoš entra nel cuore della modernità, affinando la propria sensibilità a contatto diretto con le moderne istanze artistiche e rivalutando Baudelaire e il simbolismo che prima criticava.

[5] Politico e scrittore croato, fonda nel 1861 il Partito croato del diritto (Hrvatska stranka prava, da cui i termini pravaštvo, ad indicare la relativa idea politica, e pravaši, i seguaci di quell’idea) insieme a Eugen Kvaternik (1825.-1871).

[6] “U povijesti hrvatske književnosti nema ideologije koja se u tolikoj mjeri infiltrirala u književni diskurs i koja je na njega toliko snažno utjecala kao što je to slučaj s pravaštvom”.

[7] Vinko Brešić 2016, p. 654 definisce Matoš come uno dei più produttivi polemisti croati del periodo della Moderna. Il termine Moderna, o Modernismo, è da tempo invalso nella croatistica per indicare le correnti letterarie e artistiche moderniste che si diffondono tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX. 

[8] “On je potencijale pravaškoga radikalizma pretvorio ne samo u novi, moderni patriotizam nego i u osebujan i originalan stil [...] Budući da je Matošev utjecaj u hrvatskoj književnosti nemjerljiv (kad bi se veličina nekog pisca mjerila utjecajem koji je izvršio u književnosti, onda je Matoš možda i ponajveći hrvatski pisac!), mnoge bitne osobine pravaškoga umjetničkog diskursa proširile su se preko Matoša hrvatskom književnošću”.

[9] A Parigi lo scrittore aveva stabilito un intenso rapporto epistolare con una ragazza di Zagabria, Olga Herak, dando origine ad un legame sentimentale, che sarebbe durato diversi anni senza però condurre al matrimonio, che senz’altro fu tra le ragioni della decisione di cercare di tornare a casa (Jelčić [1984], è. 246 e passim).

[10] Gli scritti di Matoš vengono citati dalla raccolta delle opere, Sabrana djela I-XX, Zagreb, Jugoslavenska akademija znanosti i umjetnosti 1976 (I edizione 1973) e come da consuetudine i singoli volumi sono indicati con SD e numero del volume. In SD IV, pp. 316-342 è riportata la versione integrale del testo del 1905.

[11] Il giornale era l’organo principale del Partito croato del diritto (“Glavno glasilo Hrvatske stranke prava”).

[12] “Živući, izvan naših koterija političkih i literarnih”, SD IV, p. 7.

[13] Curatore del volume SD IV e autore delle note e dei commenti ai testi.

[14] Nei testi incentrati sul paesaggio, Oraić Tolić riconosce non solo la mescolanza di stili e generi diversi, di poesia e prosa, ma una vera fusione di arte e vita (Oraić Tolić 2013, p. 81).

[15] “Barrèsova i Amielova ideja o pejzažu bile su samo poticaj u kojemu je Matoš na tragu hrvatskih pastoralnih tradicija i iskustva bezavičajnosti prepoznao simbol vlastitog i narodnog identiteta, a zatim je taj simbol oblikovao u simbiozi impresionizma i simbolizma uz primjesu secesije i drugih stilskih sastavnica”, Oraić Tolić 2013, p. 81.

[16] Brković 2013 presenta una rassegna degli studi che dagli ultimi decenni del secolo scorso hanno segnato la cosiddetta «svolta spaziale» (spatial turns) in una vasta area di studi multi- e interdisciplinari, con particolare attenzione al campo degli studi letterari.

[17] Anche nella Convenzione europea del paesaggio il termine «designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro ‘interrelazioni’» (Convenzione 2000, cap. I, art. I. comma a.)

[18] Si vedano gli studi di Oraić Tolić, che indaga approfonditamente l’idea matošiana della nazione, in particolare nel saggio Matoš i nacija [2012] in Oraić Tolić 2013, pp. 251-330.

[19] Nella mescolanza di stili e di toni tipica di Matoš, sono presenti anche l’ironia e l’umorismo.

[20] Il testo del 1905 è anche più ampio e strutturato in parte diversamente, con delle parti iniziali e finali poi eliminate nella stesura definitiva del 1907.

[21] «Come ammaliato osservavo il nebbioso mattino di giugno, perché ero stato cieco per una decina d’anni e inaspettatamente, come un prigioniero rilasciato, tornai a vedere al sole della mia cara terra» (SD IV, p. 28, “[…] kao omađijan posmatrah zamagljeno lipanjsko jutro, jer oslijepih za desetak godinica i iznenada, kao pušteni sužanj, progledah na suncu dragog zavičaja”).

[22] A proposito di un altro passo del racconto di viaggio, Žmegač 1997, p. 59 parla di «flânerie spirituale negli spazi della storia culturale» (“duhovnu flaneriju po prostranstvima kulturne povijesti”). Nel 1904 Matoš aveva dedicato alla flânerie (Flanerija) un testo pubblicato sull’Obzor e poi ristampato più volte. Come osserva Oraić Tolić, «Matoš ha trovato in Baudelaire l’idea del flâneur e l’ha tematizzata prima di Walter Benjamin» (Oraić Tolić 2013, p. 238 “Ideju o flâneuru Matoš je pronašao u Baudelairea i tematizirao je prije Waltera Benjamina”). Si veda anche Nemec 2008.

[23] Personaggio letterario picaresco di popolano vagabondo, furbo e arguto, assimilabile al Till Eulenspiegel tedesco, di cui esistono diverse varianti in Europa. In kajkavo Jakob Lovrenčić (1787-1842) pubblica a Varaždin nel 1834 un libro dedicato a Petrica Kerempuh (Petrica Kerempuh iliti Čini i živlenje človeka prokšenoga).

[24] Nel testo del 1905, l’incontro con Dioniso è più esteso e risulta alla fine essere stato un sogno.

[25] Nel Viaggio immaginario il quarto pianto era seguito da altre due parti conclusive poi eliminate.

[26] Anche la lirica è rimaneggiata rispetto alla prima versione del 1905 e abbreviata di una strofa (SD IV, pp. 333-334) e, secondo Kaštelan, anche qui, come negli altri casi di varianti e correzioni delle liriche, le modifiche rendono l’espressione più precisa e densa (Kaštelan 1957, pp. 135-137).

[27] Il primo componimento matošiano in versi, Hrastovački nokturno (Notturno di Hrastovac) è anch’esso inserito in un racconto, Nekad bilo – sad se spominjalo (Accadde un tempo, ora si ricorda, 1900), ed è in lingua kajkava. Per questo componimento Dragutin Tadijanović, curatore di SD V, definisce Matoš iniziatore della poesia kajkava moderna (SD V, p. 326).

[28] SD IV, p. 301. Le innumerevoli dificoltà incontrate dallo scrittore nella stampa delle sue opere tanto in prosa che in poesia e le loro complesse vicende editoriali sono ripercorse nei commenti e nelle note ai volumi della raccolta delle opere.

[29] “Njihove teme pretežno pripadaju svjetovima onkraj iskustvene stvarnosti (prošlost, idila, mit, trascendencija, utopija), što podrazumiijeva polemičan odnos prema suvremenosti” (Kravar 2001c, p. 89)

[30] Nella letteratura è evidenziata la tendenza matošiana all’accumulazione di riferimenti letterari e storici anche come un modo di sottolineare la vastità della propria cultura.

[31] Nella raccolta di studi del 2013 di Oraić Tolić, come ho detto, l’ultimo lungo saggio, del 2012, è dedicato al tema della nazione (Oraić Tolić 2013, pp. 251-330).

[32] La studiosa definisce il componimento come «una struttura simbolistico-impressionistica di ispirazione neoromantica che nel punto culminante termina con un gioco fonico e una citazione» (“Riječ je o impresionističko-simbolističkoj strukturi neoromantične inspiracije koja u poenti završava zvukovnom igrom i citatnošću”, Oraić Tolić 2013, p. 321).

[33] Stampata nel 1869 nella raccolta Fêtes galantes.

[34] Nella grande varietà di versi presente nelle liriche di Matoš (in maggioranza con la struttura del sonetto), Kaštelan individua versi da tre a diciannove sillabe con una prevalenza di quelli di dieci, undici e dodici sillabe (Kaštelan 1957, p. 103 e segg.).

[35] «La cornice essenziale della estetizzazione del verso di Matoš è la polimetria, ossia la libertà di mescolare in una poesia versi differenti [...] Le strofe polimetriche di Matoš di regola seguono uno schema rigido, il che vuol dire che in esse i metri differenti si susseguono in sequenza regolare» (“Osnovni okvir Matoševe estetizacije stiha jest polimetrija, tj. sloboda miješanja različitih stihova u jednoj pjesmi. [...] Matoševe polimetrične pjesme po pravilu slijede čvrstu shemu, što znači da se u njima različiti metri nižu po pravilnom redoslijedu”, Kravar 1996, pp. 32-33).

[36] Oraić Tolić osserva che “moderni umjetnik s prijelaza 19. i 20. stoljeća ne nalazi prirodu u sebi, nego sebe u prirodi, on ne opisuje prirodu, nego sebe upisuje u prirodu” (Oraić Tolić 2013, pp. 66-67, «l’artista moderno del passaggio tra XIX e XX secolo, non trova la natura in sé stesso, bensì sé stesso nella natura, egli non descrive la natura, bensì inscrive sé stesso nella natura»).

[37] Nel testo la frase, che apre un capoverso, appare virgolettata ma senza alcuna indicazione autoriale e anche il curatore non dà informazioni nelle note.

[38] Impossibile non pensare al celebre romanzo di Turgenev Nido di nobili (Dvorjanskoe gnezdo del 1858, in croato Plemićko gnjezdo).

[39] Per lo scrittore Ante Kovačić, che nella sua opera diede viva espressione alla terra dello Zagorje, Matoš ha nel racconto parole di grande apprezzamento in un passo di circa una pagina e mezza che precede immediatamente il componimento in versi (SD IV, pp. 39-40): «Egli è l’unico poeta della energia croata contemporanea [...] nel meridione slavo non c’è uno scrittore con una prosa migliore della sua» (“On je jedini pjesnik hrvatske savremene energije [...] nema pisca na slovjenskom jugu sa prozom boljem od njegove (SD IV, p. 40)”. Anche il protagonista del romanzo più celebre di Kovačić, U registraturi (1888, Nell’archivio, traduzione italiana di Lionello Costantini per la UTET del 1983) è originario dello Zagorje.

[40] Ljudevit Gaj (1809-1872) guida il movimento politico e culturale croato di rinascita nazionale, l’Illirismo, che mirava all’unità della maggior parte dei popoli della Slavia meridionale (l’antica Illiria) e, sebbene la maggior parte degli illiristi parlassero il kajkavo, elesse lo štokavo a lingua letteraria croata. Gaj realizzò la prima riforma ortografica con l’introduzione di segni diacritici. A Gaj Matoš dedica un saggio nel 1909 (SD VI, pp. 227-232), in cui, pur riconoscendogli il merito di aver risvegliato il popolo e di aver fondato l’unità culturale di tutti i croati, gli rimprovera aspramente di aver perseguito l’utopia illirista mentre i vicini serbi avevano una ben chiara identità nazionale (Gaj, SD VI, p. 229).

[41] Guidando la rivolta contadina del 1573 contro i soprusi nobiliari, Gubec consegue inizialmente notevoli successi ma, infine sconfitto, viene torturato e giustiziato (Hvatski biografski leksikon, https://hbl.lzmk.hr/clanak.aspx?id=31). Gubec viene ricordato anche nel racconto di viaggio con un’espressione di grande emotività in cui si contrappone la politica antinazionale dei politici croati attuali alla grandezza del sacrificio dell’eroe popolare: «e attraverso la celebre piazza vanno in parlamento i Padri della patria, preoccupati e solenni, calpestando i nostri diritti e gli atomi di dolore di Matija Gubec. Non c’è anima croata in cui non sia sopito il suo ultimo sospiro titanico!» (SD IV, pp. 36-37 “a preko slavnog trga idu brižno i svečano u sabor Oci domovine, gazeći naše pravice i atome bola Matije Gubca. Nema hrvatske duše u kojoj ne drijema njegov posljednji titanski uzdah!”). Come viene spesso ricordato, alla rivolta di Gubec è dedicato il celebre romanzo di A. Šenoa Seljačka buna (1877), il riferimento di Matoš quindi si inserisce anche nella tradizione letteraria patriottica dei decenni precedenti (cfr. anche SD IV, p. 347).

[42] Alla decadenza di una famiglia nobiliare dello Zagorje è dedicato il romanzo di Janko Leskovar con il medesimo titolo, Propali dvori (Castelli in rovina, 1896).

[43] Gli Orsić e i Keglević erano famiglie nobiliari originarie della regione di Knin, poi trasferitisi per l’avanzata turca e proprietari di possedimenti anche nello Zagorje (sugli Orsić, Filipčić Maligec 2004; sui Keglević, Hrvatski biografski leksikon, s,v.)

[44] «Nella poesia A casa Matoš stratifica la decadenza del paesaggio di campagna con l’antitesi locale-straniero, aggiungendo al messaggio antimagiaro della poesia anche una componente antisemita» (Kravar 2001b, p. 197, “Matoš u pjesmi Kod kuće (Vidici i putovi, 1907) propadanja ladanjskog krajolika preslojio [je] antitezom domaće-tuđe, dodavši protumađarskoj poenti pjesme i antisemitsku primjesu”).

[45] Il legame con Brezovica e con il suo parroco è ricordato da Matoš in diversi testi e tematizzato esplicitamente in Župnik Pinterović (Il parroco Pinterović, SD IV, pp. 235-238), testo pubblicato in ricordo del parroco alla notizia della sua morte nel 1910 (si veda anche SD I, pp. 290-291), in cui si esprime ormai una matura ed organica visione politica del paesaggio, chiaramente espressa nell’esaltazione dell’esempio implicito del parroco di Brezovica e del suo ambiente: «dove per la prima volta ho compreso l’insegnamento del paesaggio croato e la discorso della terra croata: quell’armonia di impressioni offerte dal campo dall’albero, dal villaggio, dal fiume e dalla campagna, quel sentimento sacro e supremo di unità con la terra e il popolo, che si chiamano Patria» (“gdje sam prvi put shvatio nauku hrvatskog pejzaža i riječ hrvatske zemlje: onu harmoniju dojmova što ih pruža polje, drvo, selo, rijeka i ladanje, ono sveto i najviše osjećanje jedinstva sa zemljom i narodom, što se zove Domovina”, SD IV, p. 235).

[46] Come osserva D. Tadijanović nelle note al testo (SD IV, p. 344), qui il riferimento è al proprietario terriero di Brezovica, Josip Ausch (1841-1923).

[47] Su tale tema Matoš si era già brevemente espresso, di nuovo in modo non del tutto convincente, anche nel 1903 in Sudbina jednog seoskog zvona (Sorte di una campana di villaggio, SD XV, pp. 65-67) in cui commentava il caso del sequestro di una campana per i debiti del villaggio verso un commerciante locale ebreo: «Non sono antisemita ma non comprendo perché non possiamo criticare anche gli ebrei, in un’epoca in cui tutto viene criticato. Questo caso di Kratečki dimostra nuovamente in maniera chiara ed eloquente che un ebreo, come straniero, non comprende affatto nessuno dei nostri sacri valori nazionali» (“Nisam antisemit, ali ne pojmim zašto da ne kritikujemo i Židova u vijeku kada se sve kritikuje. Ovaj slučaj u Kratečkom i opet jasno i glasno dokazuje da Židov kao tuđinac, nema smisla ni za kakove naše narodne svetinje” (SD XV, p. 66).

[48] Questa traduzione è una congettura.

[49] Károly (Dragutin) Khuen-Héderváry, 1849-1918, fu bano di Croazia dal 1883 al 1903, quando fu rimosso per le forti proteste causate dalla sua violenta politica di oppressione della popolazione, di sfruttamento del territorio e di magiarizzazione forzata.

[50] “Reliquiae reliquiarum olim magni et inclyti regni Croatiae”, Hrvatska enciklopedija, s.v. “Reliquiae reliquiarum”.

[51] Si veda il passo già citato da SD IV, p. 32. L’espressione «resto di resti» per definire la Croazia contemporanea compare anche in Hrvatska misao (L’idea croata, del 1907, SD XV, pp. 166-170, passo citato anche da Coha 2016, p. 661): «La Croazia è ancora ‘un resto di resti’ come nel XVI secolo, con la differenza che allora avevamo un esercito che oggi non abbiamo e che allora il bano esercitava i diritti sovrani della difesa nazionale croata, mentre i bani di oggi esercitano la funzione di sbirri ungheresi» (“Hrvatska još je uvijek ‘ostatak ostataka’ kao u XVI vijeku, s tom razliku što smo onda imali vojku koje danas nemamo, i što je onda ban vršio suverena prava hrvatske narodne obrane, a današnji banovi vrše službu mađarskih pandura”, SD XV, p. 166).

[52] SD IV, pp. 87-96. Il testo, pubblicato la prima volta nel 1908, è basato su un nuovo viaggio in incognito compiuto da Matoš ancora da disertore nel 1907. Anche ad Oko Lobora, Oraić Tolić dedica uno studio del 1996, poi ristampato nel volume del 2013).

[53] È quello che Oraić Tolić definisce «assolutizzazione dell’estetismo» (“apsolutizacija esteticizma”, 2013, p. 323).

[54] Dopo l’esperienza storica della prima e della seconda Jugoslavia, la storia recente ha reso la proiezione matošiana della nazione nuovamente attuale e attiva nel tessuto culturale della post-modernità europea (Oraić Tolić 2013, p. 329), in cui vediamo che la dialettica tra nazionalismi e visioni sovranazionali è tutt’altro che superata. La portata culturale del lascito letterario matošiano al suo Paese, tuttavia, può essere letta, e viene letta, come un patrimonio di «patriottismo» e non di «nazionalismo» (Oraić Tolić 2013, p. 330).

[55] “Pejzaž nije samo vidljiva naša veza sa misterijem skladnog svemira, nego i vidljivi oblik stalnog djelovanja primitivne, prvobitne hrvatske duše na našu. Ako nam je duša rezultat dojmova, ako su ti dojmovi većinom hrvatski zvuci i hrvatske slike, slike krajeva hrvatskih, duša je naša kao ovo drveće i voće rezultat hrvatskog pejzaža. Mi smo kao ta jabuka i taj grozd plodovi te zemlje, i ta okolica nas toga radi toliko očarava, zanosi i privlači, jer sebe, jer prvobitne dijelove duše svoje tu vidimo kao u ogledalu svog zagonetnog izvora”, SD IV, p. 99.


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