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| « indietro HART CRANE, Il ponte /La torre spezzata, a cura diGiacomo Trapani, postfazionedi Federico Mazzocchi,Livorno, Mauro PagliaiEditore, 2013, pp. 170, € 10.in: Semicerchio LI (2014/2) Per Seamus Heaney, pp. 120 - 121 Nato in Ohio da una famiglia della buonaborghesia commerciale, Hart Crane(1899-1932) si trasferisce a New York nel1916 senza aver completato gli studi e conl’intenzione di intraprendere la carriera discrittore. Così, uno fra i maggiori poeti delmodernismo statunitense entra nel mondoletterario e inizia a pubblicare su rivistealternative e d’avanguardia. La sua primaraccolta poetica è White Buildings (1926)che contiene 28 poesie tra le più note,come My Grandmother’s Love Letters e,soprattutto, i sei «Voyages», un ciclo di testiche dice, nei modi selvaggi tipici deglijuvenilia, della sua storia con il marinaiodanese Emil Opffer. Esce quindi la suaopera più importante, The Bridge (1930),mentre un poemetto intitolato The BrokenTower verrà pubblicato postumo (1932).Oggi l’opera di Hart Crane è consideratacome fondante del canone novecentesconordamericano.La ricezione italiana si era finora limitataalla traduzione di Roberto Sanesi deIl ponte e altre poesie (1976), ormai introvabile,e alla pubblicazione di singoli testiin antologie e in riviste. Di ciò è in parteresponsabile la complessità della scritturadi questo poeta e anche il contestoculturale da cui nasce la sua poesia. Lamatrice dei versi di Crane è squisitamentemodernista ma mediata da Blake, daisimbolisti francesi e dalla tradizione a luipiù vicina: Pound e il tardo Romanticismo.Benvenuto è dunque il recente volumeuscito presso Mauro Pagliai Editoreche contiene una nuova versione de Ilponte (pp. 27-153) e la prima resa italianadel poemetto La torre spezzata (pp. 155-159). La curatela è di Giacomo Trapani,il quale ci dà una buona traduzione daltaglio target oriented mentre l’utile postfazioneè di Federico Mazzocchi.Nel primo testo, scandito in otto parti,si nota l’ambizione di Crane di ‘imitare’le forme dell’epica, una scelta i cui riferimentipiù prossimi sono Whitman e Laterra desolata eliotiana (che è del ’22).La ‘chanson de geste’ narrata vuole direcose di un luogo e di un tempo vissutidal poeta in prima persona, ma trattatiin termini mitici. Il ponte di cui si parlaè quello di Brooklyn che nella sua facilesimbologia diventa addirittura una metaforasia dell’esistenza del poeta chedella storia americana. Crane, che vive aColumbia Heights (sebbene buona partedel poemetto sia poi stato scritto altrove)ha la possibilità di osservare il ‘suo’ponte e farne materia della sua scrittura.In un immaginario viaggio da Brooklyn aManhattan il poeta compone la sua visionedel significato spirituale dell’Americadall’età colombiana alla modernità industriale.Il contemporaneo è nell’immaginedi quell’architettura potente e dinamicache unisce epoche diverse e continenti,realtà e immaginazione, io e cosmo. Il testoproemiale è una vera ode – il nomedel ponte è preceduto dalla preposizione«To» (A) – che contiene i presupposti e isignificati di elogio e di affezione. La costruzionediviene così il sostituto perfettoalla vecchia civiltà segnata dalla poesia(harp) e dalla religione (altar): «Oh arpa ealtare, forgiato dal furore», si legge in questiversi introduttivi. È Lui, allora, lo specchiodella vitalità di chi scrive e dei suoiconnazionali. Tanta energia però ha uncontrocanto d’inevitabile tristezza, se nondi terrore, quando nella poesia Ave Maria,nella prima sezione dallo stesso titolo, ilpoeta propone la figura di Colombo che,in prima persona, narra il suo sogno diconquistatore e invoca protezione. Lesue parole paiono come una macabrapredizione: «e un’ombra recide il sonnodal cuore | quasi che un colpo di morescascimitarra avesse trovato | da sondare piùche carne nella sua caduta» (p. 39).Il libro, uscito prima in poche copie aParigi, viene pubblicato nel 1930 a NewYork e, a differenza di White Buildings,non verrà del tutto ben accolto dalla critica.Non soddisferà, «dopo quasi setteanni di lavoro» (p. 24), nemmeno lo stessoCrane che intanto vive secondo i clichédell’artista maudit. Nel 1931 va in Messicograzie a una borsa di studio. Convincendosidi poter avere una vita ‘normale’, hauna relazione con Peggy Baird Cowley e simette a scrivere La torre spezzata, che inparte raccoglie la testimonianza di questavicenda. Sono 40 versi, suddivisi in dieciquartine a rima alternata. Il testo vieneproposto quello stesso anno a «Poetry»,che lo rifiuta. Verrà pubblicato l’anno seguente,sfruttando forse la ‘pubblicità’ delsuicidio, su «The New Republic»: Crane siera difatti buttato in mare dalla tolda dellanave che lo riportava negli Stati Uniti probabilmenteperché rifiutato da un marinaio(un’ombra di Opffer?).Il componimento è una visione delfallimento della parola poetica e dunquedella morte. La torre, come già The Bridge,è un evidente simbolo di forza e di materiacome viene evidenziato dalla rimanei vv. 26 e 28 (tower: power). Tuttavia,altrettanto necessario è considerare chetanta forza è sempre precaria e corruttibile,tant’è che l’aggettivo che la connotagià dal titolo è broken, spezzata. Questavisione frammentata del mondo viene rimarcatadall’accostamento dell’attributoanche al «broken world» (v. 17) mentre ilsostantivo «torre» ai vv. 38 e 40 crea unarima (tower:shower) che esalta, appunto,l’insufficienza della «parola versata» dalpoeta (v. 21; nel testo inglese si legge erroneamente«world»). Interpretare il paradossodi tale fragilità serve a comprenderel’impasse esistenziale descritta nella poesia,ma magari anche quell’ultimo gesto dipuerile tragicità.(Gandolfo Cascio)¬ top of page | |||||
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