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| « indietro The Poetry of DerekWalcott 1948-2013,selected by Glyn Maxwell,New York/London, Farrar,Straus & Giroux / Faber andFaber, 2014, pp. 640.in: Semicerchio LI (2014/2) Per Seamus Heaney, pp. 118 - 119Pubblicato quasi trent’anni fa, il volumedei Collected Poems 1948-1984 diDerek Walcott contava già più di cinquecentopagine. Si imponeva dunque unanuova raccolta, ma quali componimentisacrificare per fare spazio alla produzionepiù recente? Difficile immaginare uncuratore più qualificato di Glyn Maxwell,a suo tempo allievo dei corsi di poesiae di teatro tenuti da Walcott alla BostonUniversity e in seguito suo amico personalee autore di prestigio. Questo nuovovolume aggiunge al già consistente canonewalcottiano un’ampia selezione di TheArkansas Testament (1987), The Bounty(1997), Tiepolo’s Hound (2000), The Prodigal(2004) e White Egrets (2010). Né ilconferimento del Nobel per la letteraturanel 1992, seguito da numerosi altririconoscimenti, né l’avanzare degli annisembrano aver indotto Walcott all’autocompiacimentoo alla trita riproposizionedi una formula ormai collaudata. Tutti inuovi componimenti confermano la suaindiscussa maestria nella versificazione,la capacità di estrarre sorprendenti metaforeda paesaggi e situazioni ormai consueti,il suo attaccamento ai temi che vaaffrontando sin dal precoce esordio sullascena letteraria, quasi settant’anni fa: lacomposita eredità, il colonialismo, l’esilio,l’impossibilità di riconoscersi appieno inquesta o quella componente della suamolteplice identità a scapito delle altre.Ma la scomparsa della madre Alix nel1990, del gemello Roderick nel 2000 e dimolti amici e conoscenti costringe Walcotta guardare la realtà con occhi nuovi.Il tono da epico si fa spesso elegiaco eil rinnovato interesse per gli sviluppi dellapolitica, suscitato dall’elezione di Obamaalla presidenza degli Stati Uniti, si alternaa una consapevolezza dell’inanità deinostri sforzi. Nella poesia di Walcott nonè l’arte a imitare la natura, anzi, spessoaccade il contrario: è la natura a trasformarsiin testo. Il poeta osserva il mondocon l’occhio del pittore, scomponeil paesaggio in zone d’ombra e di lucedistillandone i tratti essenziali. Con unprocedimento che ricorda certi quadri diPicasso, le orme degli uccelli sulla battigiao sulla neve diventano caratteri a stampa,la luna piena traccia un’immensa ‘O’ nelcielo notturno dei Caraibi, mentre il colloricurvo di un trampoliere, l’amo appesoalla lenza e la coda di uno scoiattolo sonopunti interrogativi che inducono alla riflessione.Le piantagioni di canna da zuccheroe i vigneti delle colline italiane sonostrofe di poesia, così come le nuvole, laschiuma delle onde, le vele di una golettasono altrettante pagine bianche.Piuttosto che imitare la natura, Walcottama ripetere nelle sue lezioni di scritturacreativa, il poeta non deve farsi scrupolodi imitare quanti lo hanno preceduto.E nelle poesie raccolte in questo volumei debiti letterari di Walcott sono evidenti.Tutta la grande tradizione angloamericana– dall’allegorista medievale WilliamLangland a Shakespeare, da Milton alcantore della vita rurale inglese JohnClare, da Ezra Pound a W.H. Auden, daT.S. Eliot a Robert Lowell – è ampiamenterappresentata. Il canone occidentale sifonde con i miti dell’antica Grecia, rivisitatida Walcott nel suo più lungo e ambiziosopoema Omeros (1990, qui omesso perragioni di spazio), e nella riscrittura drammaticadell’Odissea (1993). Nelle dedichefigurano esponenti di letterature vicine elontane, da Tirso de Molina ad AntonioMachado, da Edward Kamau Brathwaitea Aimé Césaire e Josif Brodskij. Anche lapoesia italiana è ben presente, con rimandia Giacomo Leopardi, Cesare Pavese,Vittorio Sereni, Salvatore Quasimodo edEugenio Montale, oltre al grande debitoverso la Commedia dantesca.Walcott allude spesso con sarcasmoal conflitto, tipico degli artisti afroamericani,tra il desiderio di farsi accettaredalla ‘superiore’ cultura coloniale, anchea costo di importarne acriticamente temie materiali, e la voglia di riconciliarsi conle proprie remote origini. Nella raccoltaMidsummer (1984), il poeta attribuiscequesto «sforzo per placare il passato»all’esigenza di farsi ammettere tra i proprisimili. Ma forse anche il sogno di una criticache possa prescindere da considerazionirazziali non è che un’illusione: «E giàlassù, in quell’arboricola Accademia, / unocchialuto scimpanzé col labbro in fuori,/ le doppie lenti velate di lacrime, sfogliale tue OEuvres Complètes». Se Walcottnon manifesta complessi d’inferiorità nelriproporre i miti di Calibano e di Robinson,di Ettore e Achille alla luce della storia, dellageografia e dell’antropologia delle Antille,tuttavia, non è per rifugiarsi nel ghettodella ‘letteratura nera’. Più che a UneTempête di Césaire, manifesto della négritudesegnato da un chiaro intento politico,la rilettura dei classici operata nella produzioneteatrale di Walcott rimanda all’audaceinterpretazione della stessa operashakespeariana proposta da Eduardode Filippo: «Oje sole mio! Fammèla tu stagrazia: / tutta ll’aria fetosa e ammalurata,/ povero sole mio, ca tu risciate / dapalude e pantane velenuse / sputelencap’a Prospero! / Cummòglielo de piaghevermenuse!».Anche nelle poesie Walcott non disdegnal’uso di colloquialismi tipici dellaparlata isolana, né risparmia i giochi diparole, che terrorizzano i traduttori quasiquanto il suo sterminato repertorio dinomi di piante, uccelli e fiori locali. Forse èquesta una delle ragioni per cui Walcott èancora relativamente poco conosciuto nelnostro paese, cui pure è particolarmentelegato. È soprattutto grazie all’impegno diLuigi Sampietro, professore di letteraturaamericana all’Università Statale di Milano,che gli appassionati di poesia italiani hannoscoperto questo grande scrittore. A luisi deve anche la bella traduzione di WhiteEgrets, pubblicato nel marzo 2010 dallarivista «Poesia» con il titolo Aironi Bianchi.Nel 2000, inoltre, la stessa rivista «Semicerchio» ha collaborato con la Fondazione‘Il Fiore’ per organizzare a Firenze unalettura di Derek Walcott.Questo volume non aspira certo adare un quadro completo dell’opera diWalcott, data l’assenza delle venti opereteatrali, dei saggi e del capolavoro Omeros. Le poesie dell’ultima raccolta hannoindubbiamente il sapore di un addio. Nelcomponimento conclusivo, la pagina sitrasforma in una nuvola che lascia apparireil mare, l’isola, le sue coste e i villaggidi pescatori. Ma è solo un attimo:«[.] a cloud slowly covers the page andit goes / white again and the book comesto a close». L’ampia panoramica chequesta raccolta presenta della sconfinataabilità poetica di un autore capace difondere pentametri giambici e calypso,inglese elisabettiano e patois francofono,ne fa uno strumento fondamentale peravvicinarsi a un mondo che ha dovutoe saputo trovare una sintesi tra razze,culture, lingue e credenze diverse, riunitein un esiguo spazio vitale dagli accidentidella storia: una lezione che potrebberisultare particolarmente utile per il nostropaese, affacciato sul Mediterraneoe costantemente esposto, come le costedelle isole caraibiche, a flussi di popolisempre diversi, cui ci lega una comuneumanità.(Luca Tomasi)¬ top of page | |||||
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